Una nuova visione personale del nostro Massimo Comi, che oggi racconta il brano di Zatarra intitolato “(If it Moves) Kiss It” uscito pochi mesi fa, consigliamo vivamente di andare ad ascoltarlo prima di leggere la recensione. Disponibile su tutti i Digital Store e nelle nostre playlist. Il modo migliore per sostenere gli artisti e la loro musica è condividere, l’unico modo per farli conoscere.
Leggendo il titolo della canzone di Zatarra, mi sono subito chiesto di che cosa potesse parlare un brano che affermava senza giri di parole di “baciarlo se si muove”: si tratta molto probabilmente di qualcosa di provocatorio, di qualcosa che vuole creare un po’ di “agitazione” nelle menti e nelle coscienze dei benpensanti.
Ascoltando la canzone, poi, mi sono accorto che essa presenta delle sonorità molto “fresche” e pulite, scanzonate e leggere, e mi sono venuti subito alla mente i Weezer di “Buddy Holly”, una canzone per certi versi melodicamente simile, con un video in stile anni ’50 che riprende immagini e situazioni dal telefilm “Happy Days”, diventato un cult per intere generazioni di ragazzi.
Il sound che viene proposto da Zatarra presenta quindi delle sfumature brit pop, con chitarre che si librano leggere e un beat scanzonato e divertente da ascoltare, che mette serenità e spensieratezza, rendendo per qualche minuto più leggera l’esistenza e favorendo un rilassamento dei sensi e una voglia di canticchiare fra sé e sé la canzone o di fischiettarla, perché presenta delle sonorità “catchy”, come direbbero gli inglesi, capaci di attrarre istantaneamente l’orecchio e l’attenzione dell’ascoltatore, portandolo in un mondo fatato e sospeso nell’aria.
Un altro riferimento musicale per il brano proposto dal nostro cantautore potrebbero essere i primissimi Blur, perché anch’essi facevano leva su di un sound fresco, pulito e attraente, con delle sfumature di leggerezza che strizzavano l’occhio con simpatia e ironicità all’ascoltatore.
Dei Blur c’è comunque anche un brano un po’ successivo nella loro carriera, vicino agli anni 2000, intitolato “Coffee & TV”, che per il suo giro di accordi di chitarra, semplice ma allo stesso tempo efficace, mi è stato riportato alla mente dalla successione di accordi della canzone che mi sono trovato a recensire, anch’essa costituita da una progressione chitarristica che si ripete lungo tutto l’arco della composizione, in modo spontaneo e libero da condizionamenti di sorta, con una capacità di risultare irresistibile e facilmente memorizzabile.
Se passiamo al testo, poi, ci rendiamo subito conto che esso si basa sul film e sul libro di “Arancia Meccanica”, che cita in modo nemmeno troppo velato: il protagonista della canzone assume le fattezze e le caratteristiche di un drugo, che pare comunque non essere più così entusiasta delle imprese compiute con i suoi compagni di avventure e racconta la propria storia con un velo di tristezza, come se volesse uscire una volta per tutte da questa esistenza, fatta ogni giorno più o meno dalle stesse azioni, che sono divertenti, ma alla lunga annoiano per la loro ripetitività.
Zatarra, a questo proposito, dice che ogni giorno si ripete sempre la stessa vecchia storia, anche se è difficile annoiarsi con i suoi pazzi amici, aggiungendo di essere terrorizzato dalla musica di Beethoven e di aver molta paura del sesso “eccessivamente amoroso”, due degli elementi che nel film condizionano pesantemente la vita del protagonista, il capo della banda dei drughi, che viene costretto nella seconda parte della pellicola ad ascoltare la nona sinfonia di Beethoven in loop, legato ad una sedia, tortura in seguito alla quale diventerà “pazzamente inoffensivo”.
Tutto nel film è portato alle estreme conseguenze, anche l’amore e il sesso, e a questo si richiama il timore del Zatarra-drugo, che dice di essere appunto molto impaurito dalle forme di sesso estreme e ultra-violente che la sua attività notturna lo predispone ad esercitare sulle proprie vittime insieme ai suoi compagni di avventura.
Viene quindi testimoniato e messo in evidenza un grande contrasto interno nella personalità del protagonista della canzone, un grande conflitto interiore, che lo porta ad ammettere che nelle scorribande del proprio gruppo non ci si annoia mai, ma che allo stesso tempo risulta impaurito da tutto quello che riescono ad architettare nelle loro avventure.
Il drugo della canzone arriva a definirsi come lo stronzo del gruppo, dove stronzo può avere anche un significato più letterale tradotto strettamente dall’inglese, quello cioè di buco del culo, cosa che rende ancora più dispregiativo il senso complessivo della situazione, con un riferimento ulteriore al sesso “eccessivamente amoroso” di cui si parlava prima.
Il riferimento al film di Kubrik viene poi come contestualizzato nella vita del nostro autore, perchè il protagonista del brano si definisce anche come “il drugo della propria band”, che invita i propri compagni a darsi una mossa e a suonare, in un parallelismo tra la gang dei drughi e il suo gruppo musicale, entrambi autori, a modo loro, di scorribande avventurose.
Il testo poi continua a dipanarsi sul tessuto sonoro caratteristico della canzone, con l’affermazione che la propria paura rappresenta la vittoria di qualcun’altro, molto probabilmente della società, che rinnega ogni tipo di scorribanda sonora, e vuole inculcare nella mente di chi sente il bisogno naturale di divertirsi il terrore di farlo liberamente, e questa è la rigida, ferrea realtà per ciascuna persona vivente nel mondo.
Il terrore diventa quindi un nemico da combattere ogni giorno che si trascorre su questa Terra: il protagonista dice di essere terrorizzato da quelli che sembrano essere degli stupidi, inutili, colpi d’arma da fuoco, in un parallelismo che sembra accostare l’attività espressiva della banda a quella repressiva della società: i colpi sono gli stessi, ma lo scopo e la provenienza può essere molto diversa.
Il terrore arriva ad essere così pervasivo dal non permettere al nostro protagonista nemmeno di cantare sotto la pioggia, come faceva il grande Gene Kelly nell’omonimo film, in una scena che promanava serenità da ogni nota, da ogni passo di danza: questa serenità non è più possibile e viene sostituita da una paura così avvolgente, così penetrante, che si arriva ad aver timore anche di fare una cosa che rende felici perché liberi, con la pioggia che lava via ogni preoccupazione e ogni dubbio.
Cantare sotto la pioggia può simbolizzare anche un gesto di rottura con i benpensanti, una sorta di purificazione rituale che viene eseguita in una società che invece vorrebbe che tutti fossero assoggettati ad una logica di paura e sottomissione, che non ama i gesti che fanno entrare in simbiosi con la natura, ma vuole che l’uomo stia rinchiuso nella propria trappola di terrore e paura, dalla quale non può e non deve liberarsi e a causa della quale non agisce più liberamente, secondo le sensazioni e le emozioni che prova in quel determinato momento e secondo quello che gli va di fare.
Il nostro drugo della canzone aggiunge poi che gli manca il latte, e questo è un altro forte riferimento alla pellicola cinematografica, nella quale il gruppo dei drughi beveva ogni giorno quello che veniva definito “latte +”, un latte “corretto” con sostanze che rendevano lo sballo di una scorribanda ancora più forte e ancora più divertente, a livello epidermico e mentale.
Oltre a quella del latte, egli dice di sentire la mancanza anche delle ragazze belle e carine: emblematico è qui il riferimento all’avventura amorosa che il capo dei drughi intrattiene con due ragazze conosciute se non sbaglio in un negozio di dischi; l’identificazione tra il protagonista della canzone e Zatarra e il capobanda dei drughi è sempre più forte e completa, dato che le citazioni del film si fanno sempre più numerose.
Queste ultime mancanze sono a mio parere ancora più emblematiche, perché rappresentano l’assenza di qualcosa di basilare nella vita del protagonista, di qualcosa senza la quale non riesce a vivere pienamente, e in questo si realizza appieno il controllo che la società desidera imporre sulle azioni di tutti gli uomini, che non possono più godere dei piaceri di cui godevano quando erano drughi a tutti gli effetti.
Tutto ciò porta ad affermare che la soluzione migliore sia fuggire via mentre ci si sta recando dalla persona con cui probabilmente si sono condivisi i piaceri il della vita, le scorribande, le avventure più tumultuose.
Il terrore delle conseguenze sociali delle proprie azioni è così forte che induce a pensare che fuggire via dai propri compagni sia la soluzione migliore.
Ma dal terrore può nascere anche una nuova comsapevolezza, che riesce a scacciarlo, almeno per un momento: i drughi sono il gruppo migliore che si possa trovare in città, sono unici nelle loro avventure e nelle loro scorribande, nessuno li può imitare o riesce ad imitarli; sono dei ragazzi divertenti che si interpongono sulla via diritta della società e nessuno è come loro.
Il loro divertimento non lascia sulla sua strada delle vittime, del dolore e di conseguenza, se non ci sono quelli, non esiste nessuna colpa; entra poi in gioco il titolo del brano, che viene rappresentato all’interno del video della canzone, dove si nota un fondoschiena maschile con il segno del rossetto di due labbra femminili: il tutto sembra far parte di un giochino sexy, alla maniera dei veri drughi, nel quale, se il fondoschiena si muove, l’unica cosa da fare è baciarlo, lasciando l’impronta delle proprie labbra su di esso, come un marchio dell’avvenuto divertimento.
Questa ultima parte si ripete due volte, quasi a riaffermare una consapevolezza che rischiava di andare perduta, la consapevolezza di essere i migliori sulla piazza, di rappresentare un gruppo che non può essere imitato, perché nessuno è in grado di divertirsi come fanno loro. Non ci sono vittime, non c’è dolore, quindi non c’è colpa nei loro pensieri, anche se commettono azioni a volte riprovevoli: se il fondoschiena si muove, è necessario baciarlo, il che comporta la presenza anche di una componente femminile all’interno dei loro giochi, visto che il bacio lascia l’impronta di un rossetto.
Alla fine, ci resta un brano dalle sonorità fresche, aperte, che ci sorridono e ci cullano con il loro andamento tranquillo, senza improvvisi scoppi di potenza o altrettanto improvvisi cali di intensità.
La voce di Zatarra non è potente, ma è molto intensa e suadente: il nostro artista canta con la tranquillità di chi crede di saperla lunga, con un tono ammaliante e avvolgente, che ben si adatta all’andamento regolare della base sonora su cui si appoggia: mi è sembrato di sentire la versione “patinata” di cantanti quali Pete Doherty, il frontman dei Libertines e poi dei Babyshambles, e Julian Casablancas, il vocalist degli Strokes.
Se dovessi classificare questo brano in un genere, sicuramente il brit pop sarebbe un buon riferimento, ma io ci sento anche un po’ di indie e di pop rock, in una miscela ben riuscita, che non sfrutta l’intensità di accordi potenti e intensi, ma procede con regolarità, utilizzando una pennata soffice e regolare, con un giro di accordi che si ripete sostanzialmente immutato per l’intera canzone, ad esclusione della parte finale, nella quale sembra di ascoltare il suono di uno strumento ad arco che esegue un breve assolo, prima della chiusura definitiva del brano, che non va in dissolvenza, ma si conclude con un accordo.
Da parte mia, devo dire che questa canzone mi è piaciuta, perché quando c’è una chitarra di mezzo io mi emoziono sempre, anche se non ci sono punte di virtuosismo o di potenza sonora: la chitarra in questo caso è funzionale con il suo sound al racconto di una storia, attraverso la voce suadente e penetrante di Zatarra, che in alcuni punti sembra toccare una sorta di sano “menefreghismo”, affermando che lui vuole cantare a dispetto di tutto, che vuole raccontare una vicenda e animarla attraverso la propria voce vellutata e avvolgente.
Mi è sembrato un segno di intelligenza e cultura raccontare la società attraverso un parallelismo con il film “Arancia Meccanica”, uno dei miei preferiti di Stanley Kubrik: il messaggio insito nel titolo non è di facile lettura e io ho cercato di inserirlo proprio nel contesto della pellicola cinematografica che fa da sfondo.
Ovviamente, l’interpretazione che io ho dato del brano resta personale, e come tale può essere contestata e discussa: ciascuno ci può trovare riferimenti e sensazioni diverse a seconda della propria sensibilità e della propria predisposizione.
Io ho trovato l’emergere di una consapevolezza in mezzo al terrore, poiché l’autore, dopo aver fatto emergere le proprie paure, inculcate nella sua mente da una società che vuole che tutto sia regolamentato e costretto all’interno di schemi fissi e immutabili, dice che comunque lui e il suo gruppo sono ciò che di meglio si possa trovare in città, sono unici, sono dei ragazzi divertenti che si possono incontrare sulla propria strada in qualunque momento, e che nessuno è come loro.
Zatarra vuole togliere le maschere dell’ipocrisia dai volti delle persone che gli stanno intorno, persone che sono costrette dalla società a comportarsi in modo finto, dissimulato, che non rispecchia la loro vera identità e non lascia spazio alla componente ludica e giocosa che è insita in ognuno.
Questa canzone mi ha fatto, come detto, venire in mente molti riferimenti, molti termini di paragone, e questo fatto dimostra la ricchezza di stimoli che il brano suggerisce e fornisce, la ricchezza degli elementi che ciascuno può trovarci dentro: Zatarra unisce la propria passione per la musica a quella per il cinema, e usa questo parallelismo fra le due arti per esprimere la sua personale critica alla società, dissimulata al di sotto di un ritmo tranquillo, pacato, conciliante, e una vocalità altrettanto suadente e avvolgente.
Sono curioso quindi di ascoltare altri brani di questo cantautore, per capire se l’accostamento tra arti diverse sia o meno il filo conduttore delle sue canzoni, se il parallelismo tra cinema e musica sia una guida costante nella sua attività di scrittura.
Il suo pezzo che mi sono trovato a recensire è a mio parere ben suonato, ben cantato e ben prodotto: le sonorità e la voce sono pulite e limpide, oltrechè piuttosto evocative, pur nella loro apparente semplicità.
Zatarra è un cantautore sicuramente di talento, e mi piacerebbe vedere se questo talento si possa arricchire con la scrittura di ulteriori pezzi e con il riferimento ad altre pietre miliari del cinema moderno.
Intanto gli faccio i complimenti, per aver dimostrato una passione trasversale per le arti e una ricchezza di messaggio che può risiedere anche in pochi, calibrati versi, e gli auguro di trovare sempre maggiore soddisfazione in quello che fa, divertendosi a mescolare cinema e musica, all’interno di opere di ingegno molto interessanti e intellettualmente provocanti.
Spotify Zatarra
Radio Spotify
Contatti Social ZATARRA
Instagram
Facebook
YouTube
Spotify
Label
PaKo Music Records
Press
Music and Media Press