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Anche oggi, giovedì 9 giugno, siamo nuovamente in compagnia con il nostro Massimo Comi,
qui per raccontarci del primo estratto del mini-Ep “NoEasy” di Al Vox, intitolato “Il mio nome è Nessuno”, un brano molto particolare che potete trovare su tutti i Digital Store e nelle nostre playlist. 

Non c’è che dire, Al Vox sa sempre trovare il modo di stupire, scrivendo, componendo e arrangiando canzoni sempre diverse tra loro, sia a livello di cantanto, che di atmosfera complessiva e di sonorità.

Il titolo del brano mi ricorda quello, se non vado errato, di un celebre film western, ma, e questa è una dimostrazione di cultura e approfondimento della letteratura antica, può essere considerato anche un riferimento all’Odissea, e precisamente all’episodio in cui Ulisse, rispondendo alla domanda di Polifemo, dice appunto di chiamarsi Nessuno, in modo che poi il mostro gigante dica che non è stato nessuno a ferirlo all’unico occhio che possiede.

A livello di sound, abbiamo una chitarra elettrica da subito molto sostenuta, molto grezza, molto hard e molto tagliente, che ripete quasi all’infinito una serie di note, come a voler generare da subito stupore e attenzione nella mente di chi ascolta.

Il testo è sempre piuttosto ermetico, da interpretare, e cantato con una voce che viene spesso filtrata attraverso apparecchiature elettroniche, per assumere varie e mutevoli sfumature, a seconda della parte di brano che viene cantata.

Il paragone potrà sembrare irriverente, ma a me in certi punti Al Vox ricorda un po’ Franco Battiato, uno dei più geniali cantautori della scena italiana, che ci ha lasciati purtroppo esattamente un anno fa. Come Battiato, anche Al Vox ama sperimentare, variare, intervallare fra loro parti di canzone dalla natura e dell’espressività intrinseca diverse, arrivando a volte ad un minimalismo sonoro, che fraziona in piccole parti la forma canzone, la tagliuzza e la affetta a suo piacimento.

Adesso, dopo questa introduzione, non mi resta che parlare del testo, mettendo subito in chiaro che ne darò un’interpretazione personale, che potrà essere condivisa o meno, proprio perché individuale e legata alla mia particolare sensibilità.

Al Vox parte subito con il botto, parlando di tre forme di isolamento sociale, che alla maggioranza delle persone possono apparire come delle vere e proprie malattie, ma che per lui invece non lo sono affatto: si parla di Outsider, cioè di persone che non sono considerate nei pronostici, per così dire, che nella vita di tutti i giorni, pur occupando un ruolo apparentemente marginale, possono spuntar fuori da un momento all’altro e prendersi tutta la posta in gioco, di Freak, i cosiddetti “Fricchettoni”, una moda che ha spopolato qualche decennio fa e che sembra non essersi esaurita ancora oggi, fatta di un’eleganza ostentata e a volte dai tratti marcatamente femminili, anche se si parla principalmente di uomini, e di Sociopatici, persone che sembrano allergiche ai rapporti sociali, avendone quasi paura, e che quindi evitano accuratamente di mescolarsi con le altre persone. Come detto, Al Vox non considera questi tre “stili di vita” come malati, forse perché, in diversi periodi della propria vita, li ha vissuti personalmente, oppure perché è sempre stato favorevole all’inclusione sociale e contrario alla divisione per classi, perché siamo tutti esseri umani alla fine.

Al Vox si chiede se c’è qualcuno che sa dello stigma sociale, oppure se è un argomento che socialmente ha una sua validità e importanza, e non viene tralasciato: invita un amico immaginario a non caderci dentro, a non allontanare le persone da sé solo perché diverse. Lui gli stringe la mano, per sorreggerlo o per complimentarsi, ed è pronto a farlo ancora, pur credendo che il suo amico abbia ormai ben imparato, quasi che fosse una contraddizione, ad essere fiero di seguire una corrente di pensiero che in realtà non gli appartiene e non lo coinvolge. Perché allora seguirla? Questo fatto, secondo il nostro cantautore, rappresenta davvero una malattia, che lui arriva a definire con un neologismo, cioè Sociofollia.

Si arriva quindi al ritornello, in cui Al Vox afferma che il suo nome è Nessuno, come da titolo della canzone, perché vuole far capire che alla fine non importa come ci chiamiamo, perché siamo tutti esseri umani: l’artista lo ribadisce sotto forma di domanda per tre volte. In questa parte, la chitarra si fa più silenziosa, e l’accompagnamento sonoro è molto delicato, quasi impercettibile, forse perché l’intento del cantautore è quello di far percepire appieno il messaggio.

Si resta su toni sonori blandi, proseguendo il discorso con una critica abbastanza feroce al fatto che vengano ricordati maggiormente alcuni avvenimenti piuttosto che altri, come ad esempio lo sterminio degli ebrei di Auschwitz invece che l’intera storia, che è stata così brutale, come ad esempio il Natale con i suoi regali, per stabilire un’armonia familiare a volte finta, come ad esempio San Valentino, in cui ci si ricorda l’un l’altro che ci si ama, ma perché ricordarlo solo in un giorno preciso se ci si ama tutti i giorni?

Al Vox ritiene di conoscere il perché di tutto ciò ed è pronto a comunicarlo ancora una volta al suo amico immaginario, solo se lui non gli porterà odio e non gli serberà rancore.

Proseguendo con i versi, la critica dell’artista si sposta su un altro piano, quello morale, dicendo che è inutile stabilire dei rapporti esclusivi, che bisogna imparare dai bambini, i quali non escludono mai nessuno. Non bisogna mettersi su di un piedistallo e pretendere di insegnare la morale dei propri padri, che secondo lui ha fatto il suo tempo ed è troppo autoritaria, perché insegna a rispondere al male subito con altro male: si tratta alla fine di un’ingiustizia che vale la pena di denunciare, almeno nella canzone.

Si arriva quindi di nuovo al ritornello, e progressivamente, dopo una fase in cui erano attutite, vanno a crescere di intensità e robustezza le note acide della chitarra, in un susseguirsi di note insistente e sempre uguale, che entra nella testa dell’ascoltatore, senza uscirne più.

Al Vox ribadisce che il suo nome è Nessuno, per far capire ancora una volta che non è importante come ci chiamiamo, perché alla fine siamo tutti esseri umani, e dovremmo essere trattati e considerati tutti allo stesso modo.

La canzone si conclude poi sulla falsariga di quanto affermato in precedenza, con il nostro cantautore che è sempre pronto a rialzare da terra il proprio amico, se per caso gli capita di cadere nella spirale dello stigma sociale, ma questo a patto che lo stesso amico non gli riservi odio e rancore perché Al Vox si è permesso di parlare di lui.

Alla fine, ci resta un brano che lascia impressionati per la sua varietà, che non può essere classificato in un solo genere musicale, che viene interpretato secondo sonorità diverse e secondo timbri vocali diversi.

La capacità di effettuare variazioni su un tema dato è uno dei cavalli di battaglia di Al Vox, e secondo me lui è molto bravo in questo perché fondamentalmente si diverte a farlo, pur non risparmiando aspre critiche alla società in cui vive, in cui secondo lui esiste ancora il classismo, in cui per lui vengono ancora stigmatizzati certi comportamenti sociali, classificandoli come malattie, in cui si crede di insegnare una morale, ma in realtà si insegna solo a rispondere alla violenza con altra violenza.

Secondo me, il nostro cantautore è uno dei geni della musica attuale in Italia, perché ci sono veramente pochi cantanti, per non dire quasi nessuno, che osano così tanto e lavorano così assiduamente sulla forma canzone, rendendola varia e sempre diversa, spiazzante e mai uguale a sé stessa, ricca di spunti senza essere mai noiosa.

Mi è piaciuto anche il video, che vede per protagonista il nostro Al Vox, e gioca sui colori, sulle tinte, sulle luci e le ombre, in perfetto stile psichedelico: ci riporta indietro di un bel po’ di anni, e questo non può far che piacere, perché la musica psichedelica è sempre stata un balsamo per l’anima e la mente, consentendo di fare viaggi meravigliosi, popolati da luci e colori sgargianti, quasi abbaglianti per la loro lucentezza.

Non posso quindi esimermi dal fare nuovamente i miei complimenti ad Al Vox per questa sua creazione artistica, che mi ha favorevolmente stupito e mi ha fatto anche riflettere, colpendomi sia visivamente che psicologicamente.

Non vedo quindi l’ora di recensire la prossima sua canzone, “Feliced’essercane”, che già dal titolo promette tanto e fa scatenare la fantasia e l’immaginazione.

Per essere Al Vox ci vuole coraggio, ci vogliono le palle, ci vuole personalità, altrimenti si scompare nell’anonimato, nel mare magnum della musica italiana da classifica, seguita da tanti ma vuota di significati importanti.    

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