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Dopo un periodo di stop, tornano le recensioni di Massimo Comi, oggi ci racconta l’ultimo inedito di PlatoNico “Non fai per me”, un brano che sta riscontrando conferme dalla critica e buoni risultati anche sulle piattaforme. 
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Leggendo il titolo della canzone di Platonico, ho immediatamente pensato ad una chiara e netta presa di consapevolezza, la comprensione del fatto che la persona che si è amata, magari per tanto tempo, in realtà non è quella giusta, non è quella che fa al caso del protagonista del brano.

Questa presa di posizione è al contempo piuttosto dura e “tranchant”, come direbbero i francesi: non vengono usati giri di parole e non vengono utilizzate mezze misure, per comunicare la nascita di un sentimento chiaro nel proprio io, magari come risultato di un’attenta e prolungata riflessione sullo svolgimento nel tempo della relazione e sui fatti, probabilmente dolorosi, che l’hanno accompagnata.

Non si esagera quindi se si afferma che questa canzone è servita al proprio autore come un momento catartico, in cui ha buttato fuori la negatività con cui era stato riempito dalle difficoltà insite nel rapporto con l’altra e il senso di disagio per una relazione che ormai si stava trascinando faticosamente, verso una meta che non era più chiara, verso un orizzonte sfuocato e sbiadito, verso un futuro doloroso e incerto.

Io da parte mia credo che la musica più autentica sia quella che riesce a raccontare i fatti della vita da un punto di vista ben delineato e ben chiaro, con le gioie e i dolori che essi si portano dietro e i momenti di prova che ci chiedono di fronteggiare: la musica è splendida proprio perché parla di momenti di vita vissuta, di amore, di odio, di lotta, di felicità e di ostacoli, riuscendo con la propria forza ad esorcizzare le paure e i momenti di sconforto, che purtroppo sono inevitabili, ma vanno affrontati con forza e spalle larghe, facendosi aiutare magari anche dalla scrittura di un testo di un brano, che può permettere a chi lo fa di sfogare verso l’esterno le proprie frustrazioni e di liberare il proprio animo e il proprio cuore dalle tenebre e dalla nebbia che li avvolgono.

Platonico quindi conduce a compimento quest’opera di presa di coscienza, che lo rende una persona più consapevole, non dovendo più dipendere da un’altra persona, che gli stava quasi rovinando la vita, conducendolo verso una strada senza uscita e verso un’esistenza che non gli apparteneva: il nostro autore se n’è accorto in tempo e ha riversato la storia di questa relazione tossica nelle parole della sua canzone, per liberarsi una volta per tutte dal veleno che lo stava facendo soffocare e per rinascere a una nuova esistenza, più libera, forte e fiduciosa nel futuro.

A livello musicale, il brano si apre con sonorità elettroniche, che sembrano provenire dall’Oriente: ascoltandole, non so perché, mi è venuta in mente l’opera “Memorie di una Geisha” e mi sono immaginato una tipica abitazione giapponese, popolata da una donna dal ferreo attaccamento alle tradizioni del proprio Paese, con uno sguardo riflessivo e pensoso verso l’orizzonte, alla continua ricerca di un senso della vita che sembra non aver ancora raggiunto e trovato definitivamente.

Questa parte introduttiva, che occupa i primi trenta secondi della canzone, viene poi sospesa e interrotta da un rapido beat di percussioni, che sembra preparare il campo all’ingresso della voce, che comincia in questo modo il suo racconto: il protagonista dice che quando guarda verso l’orizzonte vede solamente l’altra persona, che quindi costituisce una presenza invasiva e ingombrante all’interno della sua vita, condizionandolo e occupando la quasi totalità dei suoi pensieri, arrivando ad affermare che lui è in realtà ciò che non c’è; si tratta quindi, a quanto pare, di un amore non completamente corrisposto, perché lei arriva quasi a negare l’esistenza stessa del protagonista del brano, quasi che non lo vedesse affatto e che con i suoi occhi riuscisse solamente a percepire un vuoto di fronte a sé, quando al contrario lui ha dedicato a lei la quasi totalità della sua vita, la quasi totalità dei suoi pensieri, la quasi totalità delle sue emozioni amorose.

L’ingresso della voce cambia la modalità di accompagnamento sonoro, che passa ad un beat di sottofondo, sempre elettronico, lento e compassato, dalle connotazioni quasi anni ’80, un decennio in cui era apparsa una musica più pop nelle intenzioni, che sfruttava delle variazioni sul tema, operate all’interno di una base d’accompagnamento molto essenziale e lineare.

Platonico prosegue con una supposizione, che deriva da tutto ciò che è stato detto precedentemente: forse lei era arrivata a pensare che lui fosse una persona peggiore di lei stessa, cosa che l’aveva spinta con il tempo a dissolvere l’entità umana che si trovava di fronte, arrivando a negarne l’esistenza.

Lui, dal canto suo, mostra un primo accenno di reazione a tutto questo, affermando che non esiste una catena che possa imprigionarlo, che lui ha la forza per slegarsi dai vincoli imposti da un amore e da una relazione soffocanti, che tolgono il fiato, proprio perché ad una completa dedizione all’altra non c’è una risposta altrettanto forte.

Platonico si trova così senza aiuti e senza voce, ma nonostante questo possiede tanta voglia di urlare, per sfogare all’esterno tutto quello che sta subendo e da cui vorrebbe a tutti i costi liberarsi: questi versi portano la sua voce ad irrobustirsi, arrivando quasi a gridare ciò che sente dentro, a dichiarare al mondo intero il sentimento che gli comprime il cuore e quasi non lo fa battere regolarmente.

E’ con una vocalità molto forte, portata quasi all’estremo, che il cantautore fa una sorta di dichiarazione di guerra all’altra persona, dicendo che sta metaforicamente riunendo forze e armate contro di lei, che del mondo conosce solamente delle regole, in una vita rinchiusa quindi all’interno di schemi e muraglie invalicabili; questo mi ha riportato per un attimo all’immagine della donna giapponese molto arroccata alle tradizioni, che la parte introduttiva mi aveva fatto venire in mente e aveva evocato nei miei pensieri.

Platonico poi rincara la dose, aggiungendo che dovunque lei passa semina solo cliché, lasciando quindi uno spazio ridottissimo e ristrettissimo alla fantasia e all’immaginazione, distribuendo modi di fare precostituiti, artificiali, legati a regole ferree e immutabili: c’è poi un paragone che coinvolge l’oggetto che più di tutti rappresenta l’essenza della musica e del suo lato immaginavo e creativo, cioè il disco, che lei con il suo comportamento ha rotto, reso vecchio e pieno di polvere, in una metafora della vita che ha fatto vivere al suo lui, facendola diventare qualcosa di convenzionale, impolverato e dimenticato, quindi sepolto sotto un ammasso di polvere, schiacciato con violenza e impossibilitato a ritornare attuale e apprezzato.

E’ in questo preciso momento che si avvia il processo di reazione di Platonico, che non usa mezze misure per descrivere quella che è stata la sua lei, in un crescendo di emozione e passionalità vocale e di forza intrinseca al beat di accompagnamento: l’autore dice che lei è solo l’eco di un ricordo, quindi qualcosa ormai lontano e sempre più piccolo, oltreché una pagina nel buio, che quindi non si potrà mai leggere in mancanza di una fonte di luce.

Il nostro cantautore afferma con certezza e fermezza che ora lui sa che l’altra persona non fa per lui, e lo canta quasi in falsetto, facendo assumere una certa drammaticità e una certa emotività alle parole che intona, trascinando la parte finale del verso, quasi per conferirle una forza ancora maggiore e una potenza evocativa superiore.

A questo punto, il cantato ritorna ad essere più regolare e piano, perché prosegue il racconto della storia della relazione da parte del protagonista: egli dice che un giorno si è trovato faccia a faccia con le paure di lei, e questo non fa altro che aggiungere pathos e drammaticità agli eventi; Platonico arriva addirittura ad umanizzare queste paure, come se fossero quasi delle persone reali, con le quali lui si è trovato a discutere dei concetti più catartici.

Sembra quasi che, dopo aver affrontato le ansie e le paure della sua lei, il nostro cantautore abbia percepito dentro di sé una sorta di catarsi, un momento estremamente importante della propria vita e della propria relazione, che lo ha portato a stravolgere tutto, a pensarla in maniera diversa, a rendersi contro della vera realtà dei fatti.

I due amanti al centro della storia sono quindi fatti, secondo quello che gli è balenato chiaramente davanti agli occhi, per amarsi e abbandonarsi: in questa parte di canzone, la voce sembra in qualche modo raddoppiarsi, come se ci fosse in sottofondo un altro cantante che unisce la propria voce a quella drammaticamente evocativa di Platonico.

Si sente poi una sorta di urlo, una sorta di invocazione piena di tensione, che in sottofondo, denuncia tutto l’odio che si è venuto a creare nel rapporto, diventato ormai malsano e invivibile: Platonico è arrivato ad un punto in cui è stanco di perdonare, e quindi inizia a vivere solamente per sé stesso, cosa che lo libera da tutte le angosce e le ansie derivate dallo stare con quell’altra persona.

Anche qui la vocalità si fa man mano più consistente, e il cantautore arriva di nuovo a trascinare la lettera finale del verso, in un crescendo rossiniano che conferisce forza e potenza alla sua affermazione.

Prende avvio poi una parte solamente strumentale, che sembra fatta di tastiere elettroniche e sintetizzatori, e che mi ha ricordato a sprazzi alcune delle sonorità utilizzate dai Linkin Park soprattutto nelle canzoni dei loro primi dischi, sonorità che precedevano l’esplosione delle corde vocali di Chester Bennigton.

In questa sezione, si sente l’eco del titolo della canzone, che viene ripetuto due volte con una voce che assume molto riverbero, e che appare provenire da molto lontano, immersa nelle nebbie claustrofobiche che hanno condotto verso una rinnovata consapevolezza.

Dopo un piccolo momento di stasi, riprende a risuonare il beat regolare e costante di inizio brano, con la voce che si immerge in esso e ritorna per un momento ad essere meno drammatica, anche se i toni restano quelli di una ferma volontà di riscossa: viene ripetuto una seconda volta quello che sembra essere il mantra della reazione di Platonico alla sua sfortunata avventura amorosa, mantra che si esprime attraverso parole di denuncia, con lui che si prepara alla battaglie, riunendo forze e armate contro la sua lei, che del mondo conosce solo le regole e che dovunque passa riesce a seminare solo cliché, rendendo la vita un vecchio e impolverato disco rotto.

Le regole ci devono essere, ma non devono risultare soffocanti, e soprattutto non devono far annegare una relazione nella ripetizione di vecchi e superati modi di fare, che si ripetono fino allo sfinimento.

Rieccola la nuova consapevolezza di Platonico: lei è diventata solo una eco di un ricordo, una pagina immersa nel buio che non si può leggere, una persona insomma che non fa per lui; qui la tonalità della voce cresce di nuovo rossinianamente, assumendo dei toni drammatici e altamente emozionanti soprattutto nell’ultimo verso, quello della maggiore consapevolezza, quello che dà il titolo al brano.

A questo punto, si colloca un’interessante variazione sul tema, che in qualche modo si può di nuovo collegare ai Linkin Park: Platonico inizia infatti a rappare velocemente, con la voce che appare come filtrata da un megafono, assumendo una eco e un riverbero maggiori; questa parte mi ha ricordato quello che faceva Mike Shinoda nelle sue strofe di competenza, quando appunto rappava con velocità, tenendo in sottofondo la voce di Chester che emetteva delle sequenze vocali prolungate, proprio come fa in questo caso il nostro autore, sovrapponendo due piste, due linee cantate differenti.

In questa parte vorticosamente veloce, Platonico dice una serie di cose interessanti, che contribuiscono a dare ulteriore corpo al senso di rivalsa che lui percepisce dentro di sé: chiede che la propria voce venga ascoltata, perché altrimenti non riesce a trovare pace, che scrive versi per evadere dalla prigione fatta di regole e cliché che gli è stata imposta, al di fuori della quale si può vivere, ma ad una condizione, condizione che il nostro autore non dice esplicitamente e che lascia immaginare, anche perché successivamente si definisce come un vulcano in eruzione, che vuole appropriarsi del mondo infame che lo circonda.

Ormai ha preso tanto coraggio, e arriva ad invitare la sua lei a scappare, perché comunque è perfettamente consapevole che lei lo sentirà in ogni posto in cui si rifugerà, non riuscendo più a liberarsi della sua immagine, che la perseguiterà in eterno: Platonico conclude il tutto affermando di essere già morto e risorto spesso, che la vita lo ha steso molte volte, ma che lui ha sempre avuto la forza per rimettersi in piedi.

La canzone si conclude con una breve ripresa delle sonorità orientali dell’inizio, che vanno progressivamente a sfumare, come se il nostro cantautore desiderasse chiudere il cerchio, ripetendo quello che è diventato un vero e proprio inno, cioè il titolo della canzone.

Alla fine, ci resta un buon brano elettro-pop, ben prodotto e ben cantato, con la voce di Platonico che è in grado di modularsi svariate volte, assumendo tonalità diverse a seconda della parte di canzone che si trova a cantare.

Come ho detto, mi ha stupito positivamente l’inserimento di una parte rappata verso la fine del brano, cosa che mi è sembrata un’invenzione meritevole di considerazione: credo che con essa Platonico volesse dare uno sfogo ancora maggiore a tutto quello che per anni si era tenuto dentro, cadenzando con un ritmo quasi febbrile le ansie e le paure che la relazione che aveva vissuto aveva instillato in lui, facendolo diventare un vulcano in eruzione.

Sono sicuro che, scrivendo e cantando questo brano, il nostro autore si sia tolto dalle spalle diversi pesi, raggiungendo un notevole grado di consapevolezza e di confidenza in sé stesso, allontanando le gabbie del passato, con le loro regole e i loro cliché, per librarsi libero nell’aria, dopo aver sfogato tutta la propria furia e la propria rabbia.

Non smetterò mai di ripetere che la musica è una delle migliori amiche e valvole di sfogo dei sentimenti che ciascuno di noi tiene dentro di sé: quello che ha fatto Platonico con la sua canzone ne è la dimostrazione lampante.

Un amore non corrisposto è una delle avventure peggiori di fronte alle quali ci mette la vita: parlarne attraverso una canzone aiuta a liberarsi e a diventare persone nuove, più forti e più fiduciose in un futuro migliore, oltreché in grado di non commettere più gli stessi errori.

Sono curioso di ascoltare la prossima canzone di Platonico, per vedere se la consapevolezza raggiunta gli darà modo di maturare ulteriormente nella scrittura e nella vocalità, affrontando tematiche sempre importanti, ma diverse da quelle amorose, magari più legate alla situazione sociale che stiamo vivendo e alle problematiche che il mondo si trova ad affrontare ogni giorno. Intanto gli auguro buona fortuna.        

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