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La recensione di oggi parla di “Vita”, l’ultimo capolavoro di Claudio Cirimele; torna ancora una volta il nostro prezioso collaboratore, Massimo Comi con le sue riflessioni, i suoi pensieri e i suoi punti di vista, questa volta su questo brano. Cosa ci racconterà?
Scopriamolo assieme, il brano lo potete trovare su tutti i Digital Store e nelle nostre playlist. 

La canzone di Claudio Cirimele mi è parsa fin dal primo ascolto un brano abbastanza inusuale, insolito, all’interno del panorama musicale nostrano. Questo perché essa sembra evocare atmosfere tetre, oscure, fosche, dando l’impressione di trovarsi nel bel mezzo della colonna sonora di un film dell’orrore. Il tutto grazie alla sapiente miscelazione del suono del pianoforte con sonorità più elettroniche e molto evocative nel senso prima descritto: l’ascoltatore si ritrova proiettato, almeno secondo quanto ho percepito e immaginato io, all’interno di una landa desolata, buia e silenziosa, in cui non c’è anima viva, che sembra popolata da spiriti e presenze oscure.

Questa sensazione appare amplificata dall’immagine di copertina del singolo, che mostra l’autore in manette su uno sfondo nero, quasi che la sua libertà di agire sia limitata e imprigionata, e lui possa solamente servirsi della propria immaginazione per prefigurare e descrivere la situazione in cui si trova a vivere, l’oggetto di cui vuole parlare e il messaggio di cui vuole farsi portatore.

Se guardiamo al testo, Claudio sembra parlare sia di una persona che della vita stessa: io propendo più per la seconda ipotesi, dato il titolo della canzone e ciò che viene affermato nel ritornello.

La vita trascorre sia attraverso il passare delle giornate che attraverso il proprio riflesso nella mente delle persone, che molte volte sembrano vergognarsi di lei, quasi temendo che ciò che hanno realizzato e stanno realizzando non sia gradito dagli altri, venga sottoposto al duro giudizio di chi le circonda. La gente, di conseguenza, sembra non essere in grado di amare e di difendere la propria vita dagli attacchi che subisce quotidianamente, non facendo altro che lamentarsi, senza agire concretamente per cercare di cambiare le cose.

A questo punto, però, si apre un varco, uno spiraglio, perché il nostro cantautore dice che esiste la possibilità che un giorno questa situazione possa cambiare: questo cambiamento però porta verso l’ignoto più che verso il noto, perché Claudio si chiede che colore avrà, quale sarà la tonalità e quali saranno le sfumature che assumerà la vita cambiata.

Si passa poi a quello che appare essere il ritornello, nel quale il nostro autore fa direttamente riferimento alla vita, citandola più volte e chiamandola, come si dice, per nome. Egli utilizza delle immagini contrastanti, affermando che la vita allo stesso tempo può essere sia cruda che molto dolce, che viene rappresentata e colorata dalla musica, l’elemento che fa da propulsore e ne genera la bellezza, che risiede nell’anima delle persone. Si chiede poi che vita potrà mai essere un’esistenza senza libertà, e qui ci si può ricollegare con l’immagine presente sulla copertina del singolo, aggiungendo, probabilmente rivolgendosi ad un “io” indeterminato, generico, che questa cosa è risaputa, perfettamente conosciuta.

Claudio passa poi a parlare di quella che appare essere la sua esperienza diretta, perché parla appunto in prima persona: si ritorna alle atmosfere cupe e tenebrose generate dal particolare sound della canzone, perché il cantautore dice che la sua ricerca della vita autentica avviene nella notte, in qualsiasi luogo essa si possa trovare, che sia un angolo di strada o una chiesa di città, mescolando un po’ il sacro con il profano. Si ritorna poi al ritornello, che prefigura ancora atmosfere cupe, perché parla di una vita dalle tinte scure, ma allo stesso tempo dolcissima, una vita che è la musica che Claudio sente di avere nell’anima: quest’ultima è secondo me una bellissima immagine, e ben si accorda a quello che penso io, perché credo che la musica sia veramente una fonte di vita, in grado di penetrare le profondità dell’animo umano.

Però, é necessario che la vita stessa sia il più libera possibile, perché la libertà è la fonte primaria che va ad alimentare la bellezza e l’autenticità dell’esistenza umana.

Questo ritornello é di nuovo introdotto dall’immagine della possibilità di un cambiamento, ma questa volta la sicurezza proiettata su questo cambiamento è molto forte, e viene coinvolto un altro dei cinque sensi, perché, dopo la vista, si passa al gusto, dato che Claudio si chiede che sapore potrà mai avere una vita illuminata dal cambiamento.

Subentra quindi, fra gli strumenti coinvolti, la chitarra, che si fa sentire sia con accordi che rafforzano il potenziamento della vocalità del cantante, che con un buon assolo, che va a completare la canzone e la rende più pregna di significati e sfumature.

La parte finale del brano vede la ripetizione del ritornello, che viene cantato con versi leggermente diversi fra la sua prima e la sua seconda versione, perché all’inizio la vita appare come qualcosa di scuro e allo stesso tempo dolcissimo, quindi qualcosa che sa regalare sia delusioni che soddisfazioni, manifestandosi attraverso la musica che l’autore sente, percepisce di avere nell’anima, e che senza la libertà non può essere qualcosa di realmente autentico: questa cosa è presente nella consapevolezza della persona a cui Claudio si rivolge, che può anche essere la vita stessa, che viene invocata con quello che i latini chiamavano modo “vocativo”, quasi con struggente disperazione, con l’affermazione “oh vita”.

Nella seconda versione del ritornello, la vita diventa cruda, oltreché sempre dolcissima, e si manifesta attraverso la musica che la persona a cui il cantatutore si rivolge ha nell’anima: viene ribadito il concetto che la vita non può essere autantica se non è libera, e la conclusione, piuttosto malinconica, è costituita da un triplo “lo sai”, quasi a ribadire che l’altro deve essere per forza consapevole di tutto ciò che gli viene raccontato da Claudio: può anche sembrare che il cantautore realizzi una sorta di personificazione della vita stessa, riferendosi ad essa come se fosse una persona reale.

Significativo è il fatto che il terzo “lo sai” sia un po’ staccato temporalmente dai primi due, come per creare una pausa, un momento di sospensione, fino alla conclusione che va a ribadire il concetto.

Alla fine, ci resta un buon brano pop rock, che mescola sapientemente il suono del pianoforte con sonorità più particolari, elettroniche, aggiungendo in corso d’opera il suono della chitarra elettrica, che rende la canzone più impattante e coinvolgente, oltre a rafforzarne il significato e a incrementarne il ritmo.

La voce di Claudio mi è parsa molto ben calibrata e sul pezzo, in grado di cantare in svariati modi, sia delicatamente che con maggiore forza, sia con note più basse che con note più acute.

Possiamo dire che questo brano, alla fine, sia da considerare come un inno alla vita, che viene cercata attraverso il buio e l’oscurità, negli elementi della natura e dell’architettura, che non può realizzarsi se non attraverso la libertà di azione e di pensiero, che può assumere colori e sapori diversi, a seconda dei vari punti di vista, che può essere cambiata, perché alla sua crudezza e oscurità si accompagna una grande dolcezza.

La vita può riservare sia gioie che delusioni, ma bisogna tener sempre ben presente, come riferimento, che tutto può sempre cambiare da un momento all’altro, che l’esistenza è un flusso costante, come diceva il filosofo Eraclito, in cui tutto scorre, ed esiste sempre la possibilità che la continua ricerca di una vita autentica possa trovare la sua vera realizzazione e il suo vero compimento.

A mio parere, quello che l’ascoltatore si deve portar via da questa canzone è complessivamente un senso di positività, perché ci sono degli spiragli che consentono il cambiamento, perché all’amaro si accompagna il dolce e perché è stimolante cercare di capire che gusto e che colore può assumere la vita, una volta trasformata. Bisogna insomma avere fiducia: il cambiamento è sempre possibile e alla portata di tutti, basta crederci.  

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