Massimo Comi torna a raccontarci di un progetto musica dell’artista Le Rose e Il Deserto,
“Io sono sabbia”, un album intenso che potete trovare su tutti i Digital Store.
Mentre ascoltavo questo disco, mi sono reso conto che la mia mente viaggiava con l’immaginazione, trasportata in luoghi sempre diversi, provando emozioni forti, che sono rimaste impresse nella mia fantasia e hanno colorato di varie tinte le mie riflessioni, passando da quelle più fosche a quelle più vivide e luminose.
Non si può dire che al nostro artista manchi l’immaginazione ed il gusto per la musicalità delle parole, che egli accosta fra loro in modi che difficilmente risultano comprensibili ad un ascolto superficiale, ma che meritano sicuramente un approfondimento.
La musica e la melodia che accompagnano i testi sono, almeno per le prime quattro canzoni, molto dolci, intense e emozionanti, e secondo me rappresentano il giusto accompagnamento e la giusta introduzione ad un mondo fatto di intensità e gusto per le sonorità e per la comunicazione di ciò che si sente dentro e di ciò che si vuole dire agli altri.
La quinta e ultima canzone si distingue un po’ dalle altre in termini musicali, in quanto appare più grintosa, più veloce, più ritmata, con quello che appare essere un accompagnamento di archi, dai suoni ruvidi, decisi, netti e precisi.
Già dal nome dell’album, si intuisce, facendo un collegamento con il nome dato al progetto, cioè “Le Rose e il Deserto”, l’idea che sta alla base della sua concezione, cioè a mio parere quella di rimuovere le sabbia che ricopre i fiori che sbocciano comunque al di sotto di essa, liberando quindi metaforicamente i pensieri che stanno al di sotto dell’oppressione che esercita sulla nostra immaginazione la vita di tutti i giorni, che a volte ci crea problemi e non ci permette di esprimere appieno la nostra individualità. L’autore sembra dire che è necessario scavare a fondo nella sabbia in cui a volte restiamo intrappolati, per trovare dei fiori allo stesso tempo preziosi e belli, che non possono che arricchire la nostra vita, interiore e esteriore, portando una ventata di profumo e di freschezza in qualcosa che appare come inaridito, senz’acqua, immobile, qualcosa che solo il vento può sospingere in una particolare direzione, ma che resta al di fuori del controllo di ciascuno di noi, almeno fino a quando non proviamo a sperimentare e utilizzare il grande potere che ci è concesso dalla nostra fantasia e dalla nostra capacità di ragionare per immagini e metafore, potere che sembra il centro focale del disco.
Solo perché c’è uno strato di sabbia che li ricopre, non è assolutamente detto che noi non siamo in grado di riportare alla luce i preziosi fiori, le rose che sono nascoste al di sotto della superficie, a patto però che liberiamo la nostra mente da ciò che la inaridisce e ricominciamo a pensare attraverso il grande potere della poesia, delle immagini e delle metafore, che risiedono in ciascuno di noi, anche se a volte tendiamo a ignorarle o a non considerarle importanti, assorbiti come siamo dalle cose della vita, che, invece che favorire il nostro potere immaginativo, a volte arrivano a ostacolarci.
Nel nostro artista si nota proprio il gusto per l’accostamento sonoro delle parole, per le combinazioni di queste stesse parole, che creano dei giochi immaginativi e sfumature sonore sempre nuove e fresche, che certamente ognuno può interpretare come ritiene più opportuno e vicino alla propria sensibilità: qui secondo me risiede proprio il bello e il potere delle immagini evocate dall’artista, nel fatto cioè che sono in grado di creare mondi che diventano diversi a seconda della persona che mette in gioco le proprie facoltà oniriche e creative. Il risultato è sempre diverso, e questo secondo me rende il gioco speciale, un qualcosa che vale la pena sperimentare, per rendere più colorata e musicale la propria vita.
Dopo questa premessa, direi che posso addentrarmi nell’universo di ciascuna canzone, dando una mia personale interpretazione del tutto, che può essere giusta o sbagliata, condivisibile o meno, ma, proprio perché personale, meritevole di attenzione e discussione.
La prima canzone, nemmeno a farlo apposta, si intitola “Sabbia”. Si apre con una base musicale che sembra uno di quei jingle pubblicitari che si sentono alla televisione. Nel testo si parla di percorsi, di strade, di viaggi, introducendo quasi subito l’oggetto presente nel titolo del brano e definendolo come un impedimento, come qualcosa che si incastra negli ingranaggi della vita, rallentandola e facendo del male. Appare anche uno di quelli che può essere definito come un elemento fondante per l’album, cioè il rapporto con i propri genitori: si parla prima del padre, che appare come un riflesso che appare in uno specchio, quasi come se non fosse stato troppo presente nella vita del figlio-artista, come se si fosse limitato ad essere una presenza fantasma, qualcuno visto poco dal vivo, ma solo attraverso dei riflessi, elementi questi molto labili. Tutto ciò viene ribadito nei versi seguenti, in cui si dice che se in una pozzanghera si vede il mare, è per sfuggire agli occhi del proprio padre: questo forse perché l’autore ha voglia di liberarsi da un peso che lo opprime, e che vede in un qualcosa di normalmente piccolo un elemento molto più ampio, che esprime l’infinito per definizione, quasi voglia librarsi verso di esso, per liberarsi dallo sguardo opprimente del genitore. Tutto quanto detto fino ad ora si riflette in quello che può essere definito il ritornello, in cui la linea melodica “si apre”, diventa più intensa e coinvolgente: è necessario infatti galleggiare senza affondare, è tutto un movimento circolare, perché quando si crede di essere giunti alla fine si ritorna all’inizio, in un flusso che si ripete all’infinito. La vita appare come qualcosa che sa essere crudele, ma per affrontarla è necessario uno sguardo sulle cose che vada oltre a quello che vedono normalmente gli occhi, che vada nel profondo, verso un mondo di solitudini, probabilmente perché in questo modo ci si distingue dalla massa e si va a scoprire la propria interiorità, la propria intimità.
Passiamo alla seconda canzone, intitolata “Un terzo”, che inizia con una melodia molto rilassante, molto zen, quasi hawaiana, che fa da contrasto con l’insicurezza del protagonista, che afferma di perdersi molto spesso, soprattutto quando gli sembra di essere arrivato, senza sapere che la tappa successiva è ancora più dura da affrontare: tutto ciò si ricollega a quanto detto nella prima canzone, in cui si parlava di un andamento circolare della vita. Ci si perde in mezzo allo smog del centro città, alla sua frenesia: in questo caso, l’artista dice di ripensare a suo padre in un determinato giorno di giugno, scaldandosi la voce: non viene specificato cosa sia successo in quell’occasione, ma può essere che proprio in quel caso si sia verificato uno dei rari gesti di affetto del genitore, cosa che riesce a dare una maggior fiducia al protagonista della canzone, rendendo la sua voce più calda, quasi dandogli fiato. Anche qui si riprende un elemento presente nella prima canzone, cioè il rapporto con il padre.
L’autore non sembra avere quindi un buon giudizio sulla prima parte della propria vita, perché arriva a dire di aver perso un amico, due mazzi di chiavi e un terzo di vita, in un continuo arrancare che non porta da nessuna parte.
Tenta comunque di reagire, di rimettere insieme i propri pezzi con la colla più dolce che ha a disposizione: questo verso secondo me dà una vivida impressione di tutta la passione dell’autore per l’accostamento di parole che apparentemente non hanno nulla a che fare tra di loro, ma, se messe insieme, creano una combinazione sonora tanto inaspettata, quanto gradevole.
La base musicale ha un andamento che ormai posso quasi definire “classico”, con una partenza più rilassata e un incremento dell’impatto sonoro nel ritornello, sempre con una prevalenza dell’elettronica, affiancata in alcune occasioni da strumenti più “tradizionali”, quali le tastiere o la chitarra acustica.
Ed accoci giunti alla terza canzone, “Pirati”, che comincia con un’intro di pianoforte, sulla quale l’autore sembra rievocare, attraverso la citazione degli elementi che contraddistinguono un pirata (il fucile e il cannocchiale), i momenti in cui la madre gli raccontava le storie che gli piacevano tanto, quando era giovane e bellissima. Viene quindi introdotta la seconda figura familiare, che, a differenza del padre, sembra essere stata molto presente nella vita del nostro artista, illuminandola con racconti appassionanti e sviluppando secondo me il suo gusto per l’accostamento dei termini, di parole il cui suono crea un effetto particolare, oltre che la sua illimitata fantasia e immaginazione, perché lo portava a volare fra le nuvole e fra i poeti.
In questo caso, il ritmo della canzone assume quasi da subito un andamento più “vigoroso” e accelerato, mantenendo questo stesso andamento per tutto il resto del suo svolgimento, salvo la conclusione, che mostra la bellezza e la serenità di un finale con tutti i crismi, con poche note di pianoforte e delle parole che mostrano una certa nostalgia, dicendo che non c’è nulla più da difendere, con la voce dell’altro o dell’altra che annuncia la ritirata.
E’ curioso che all’inizio del brano di parli di una notte insonne, in attesa di un’alba sanguinante, nella quale il sole scolpisce le forme sui sassi, mentre verso la fine della canzone si parla di un rosso degli occhi che significa tramonto.
Il brano sembra il racconto di un’avventura fantastica, sembra rievocare una di quelle straordinarie avventure raccontate dalla madre al proprio figlio, con una serie di significative immagini che mostrano l’immensa creatività e fantasia che possiede l’autore in ambito testuale e di scrittura. Il nostro artista arriva a paragonare la madre a un’ossidiana lucidissima e offre come detto un saggio di abilità descrittiva e immaginativa, che porta direttamente nell’animo e nel cuore dell’ascoltatore, senza un attimo di pausa, una serie infinita di immagini che narra la propria vicenda dall’alba al tramonto, facendoci sentire per un attimo dei “pirati della parola”.
Significativa secondo me è la volontà dell’autore di difendere quello spazio di fanciullesca immaginazione che si è creato, andando a combattere come farebbe un vero pirata contro le forze che lo insidiano e lo opprimono nella sua vita di ogni giorno.
Passiamo alla canzone successiva, “Sensi Unici”, che, come di consueto, inizia con un ritmo piuttosto lento e rilassato, ritmo che praticamente viene mantenuto per tutto il brano, con alcune variazioni sonore, aiutate dall’elettronica.
Il testo appare pieno di raccomandazioni per una persona che può essere un familiare o un amico dell’autore, quasi una lezione di scuola guida, perché invita a evitare i sensi unici e a imparare il senso giusto delle rotatorie. Oltre a questo, mi sembra molto significativo il fatto che l’altro venga invitato a non risparmiare un “ti amo”, ad ascoltare solo le parole semplici, come appunto è una dichiarazione d’amore, a scalare le montagne, a non fare tardi e ad imparare ad apprezzare anche gli inverni: tutte cose che in apparenza sembrano semplici, ma che ad uno sguardo più attento si rivelano essere complicate, perché sembrano andare contro le abitudini consolidate che ha di solito una persona.
Io vedo questa canzone come un atto di affetto verso una persona che si apprezza veramente e alla quale si tiene tanto, alla quale si fanno delle raccomandazioni che appaiono essere quelle di un amico o di un fratello.
A mio parere, la forza di questa canzone è il perfetto accordo tra le parole e la musica: quest’ultima fa da dolce accompagnamento a quelle che sembrano essere delle attenzioni e delle premure verso una persona che risulta preziosa per la propria vita.
Concludiamo la nostra recensione parlando dell’ultima canzone, “Passi Indietro”: questo brano si distingue immediatamente dagli altri per la ritmica, che da subito si rivela rapida e serrata. Anche questa canzone sembra impartire una sorta di “lezione” a una persona a cui si vuole bene: mi è piaciuto il punto in cui si chiede all’altro un cambiamento del proprio punto di vista sul mondo, facendo un passo indietro, cambiando gli occhiali e fidandosi delle distanze, quasi che sia necessario un distacco dal mondo che ci circonda per capirne le vere caratteristiche e per poter vivere in modo pieno e realizzato. C’è solo un momento in cui il ritmo serrato si arresta, facendo apprezzare la morbidezza della voce dell’artista.
Ecco, la voce: finora non ne ho ancora parlato. Secondo me la vocalità del nostro autore è in grado di cullare e rassicurare, di tranquillizzare e dare pace, perché appare come quella di un amico fidato che dà consigli e che vuole il bene delle persone che ama e a cui tiene.
A mio parere, si abbina particolarmente bene sia alle canzoni che partono in modo rilassato, per poi svilupparsi più compiutamente, sia a quest’ultimo brano, in cui la ritmica, come detto, si fa piuttosto serrata e incalzante.
Ritornando quindi sulla canzone, possiamo dire che sembra fondamentale per l’autore rivolgersi alla natura per avere le risposte che si necessitano per arrivare a una situazione di maggior consapevolezza, di maggior distacco, per poter valutare le cose con maggior raziocinio e raggiungere un senso di sicurezza e determinazione.
Anche in questa canzone mi sembra di sentire degli accenni di strumenti ad arco, in alcune sezioni: a mio parere, danno un tocco di maggiore “autorevolezza” al brano.
Devo ammettere che mi è piaciuta buona parte dei versi della canzone, perché forniscono una sensazione di completezza, di pienezza, spiegando nel modo migliore possibile cosa bisogna fare nella vita per essere maggiormente consapevoli: talvolta è necessario un salto nel vuoto, senza ritorno, perché il biglietto non c’è, rischiando per poi avere un risultato tangibile tra le mani, e la soddisfazione di non essere rimasti immobili a contemplare la situazione, ma di essersi “buttati”.
In questo brano c’è ancora un richiamo alla componente onirica della vita, perché l’autore rivela che ha fatto un sogno e che magari si mette ad aspettare, sognando un letto, visto che, come detto, per il ritorno non c’è un biglietto.
E’ necessario ascoltare la pancia, più che gli occhi, e farsi rivelare dalle proprie gambe cosa vuol dire andare, cosa che non significa necessariamente arrivare: l’importante sembra essere compiere il percorso, perché, come si dice spesso, esso è più importante della destinazione.
Alla fine è una questione di coraggio, di volersi buttare e voler andare, fare un salto in alto senza ritorno: senza rischio non si arriva da nessuna parte.
Mi ha colpito poi la parte in cui l’autore parla di varie categorie di lavoratori, elencandone le caratteristiche per lui salienti, ammonendo la persona a cui sta parlando di lasciare ai preti e ai cantautori la tristissima bugia: devo ammettere di non essere riuscito a capire quale sia la tristissima bugia, forse il fatto che si crede che alcune persone debbano per forza avere delle determinate caratteristiche, con uno sguardo quindi distorto sulla realtà, che può essere modificato, facendo un passo indietro e cambiando il nostro modo di vedere le cose, creando una distanza e osservando tutto con un distacco che permette una corretta valutazione.
Alla fine, ci resta un buon disco pop, condito da accenni di elettronica e di musica indie, con l’utilizzo di strumenti più “tradizionali”, come il pianoforte e la chitarra acustica, come gi affermato in precedenza.
Credo che l’album sia di gradevole ascolto, ma di difficile comprensione: l’ascoltatore, cullato dalla musica e dalla tenerezza della voce dell’artista, è chiamato ad uno sforzo interpretativo del testo, per dare un senso a ciò che vive quotidianamente e all’interpretazione che ne dà.
Il disco è sinceramente poetico, mostrando un gusto per il suono e l’accostamento delle parole, per le metafore e per le immagini, che incuriosisce e intriga.
Ne consiglio quindi l’ascolto a tutti, anche a chi magari non ama troppo il genere, perché lo considero un album “universale”, che vuole comunicare un messaggio attraverso le immagini, le visioni, i sogni e le aspettative.
Può darsi che l’ascoltatore attento anche al testo e non solo alla musica ascolti il disco svariate volte, proprio per entrare in simbiosi con esso e con le parole delle sue liriche: questo è quello che consiglio di fare, per apprezzare pienamente quello che ci viene detto attraverso le canzoni e cercare di ricavare un messaggio utile per la nostra vita di tutti i giorni.
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