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Tornano le recensioni di Massimo Comi, oggi, giovedì 30 giugno, è con noi per raccontarci del secondo brano del mini-Ep “NoEasy” di Al Vox, intitolato “FeliceD’esserCane”, una dedica alla cagnolina che non c’è.
Potete trovare su tutti i Digital Store e nelle nostre playlist.

Ammetto che, quando ho letto il titolo di questa canzone, ho subito pensato che il nostro Al Vox ne avesse combinata un’altra delle sue.

Un titolo stupefacente, allegorico, fantasioso, che se pronunciato scorre via liscio, senza interruzioni e senza increspature: mi sono venuti in mente personaggi apparentemente bizzarri, ma in fondo in fondo molto profondi e capaci di un’incredibile quanto attenta analisi della situazione sociale, quali ad esempio Rino Gaetano, Ivan Graziani e Giorgio Gaber.

Ho pensato anche a cosa potesse significare questo curioso e dissacrante titolo, perché il cane è l’animale che per eccellenza simboleggia la fedeltà, e il suo attaccamento al proprio padrone va aldilà di ogni limite umanamente comprensibile, tanto che molte persone a volte si sentono quasi più tristi quando a morire è il proprio animale che non quando a farlo è una persona umana, magari a loro vicina.

Il distacco definitivo dal proprio cane è molte volte vissuto come un momento altamente tragico, che segna uno spartiacque nella vita di una persona: il nostro cantautore forse ha voluto mostrare il lato più affettuoso e appunto fedele del proprio carattere, dicendo che lui è contento di restare fedele ad una persona e di essere trattato quasi come un animale domestico, che è capace di dare molto senza pretendere nulla in cambio.

A volte, l’appellativo “sei un cane” viene utilizzato come un insulto, da lanciare come uno strale verso una persona che si giudica cattiva e non degna di un giudizio positivo, ma non penso che questa caratterizzazione sia quella che Al Vox vuole dare attraverso il titolo del suo brano: io ritengo che tutto questo voglia rappresentare un’allegoria, anche del fatto che a volte si può essere associati al volere di una persona ed esserne al contempo felici, perché si ama veramente con tutto il cuore quella stessa persona, alla quale si vuole donare tutto ciò che si è in grado di donare, senza risparmiarsi e diventando felice per aver ricevuto anche una sola carezza.

Dal punto di vista melodico, la canzone si apre con degli accordi di chitarra acustica, che appaiono non forzati e spinti allo stremo, ma delicati e dolci, come se volessero rappresentare un’introduzione al cantato del nostro artista, senza fare invasioni di campo e senza pretendere un ruolo da protagonista, limitandosi all’accompagnamento. Il primo verso è di matrice, se così possiamo dire, floydiana, perché afferma che tutti possono avere un lato oscuro della propria personalità, come la luna, che possiede un lato visibile e luminoso e un lato che non si vede. Nonostante questo, esiste una bellezza intrinseca nella saltuaria condivisione del piacere del piacere: questo verso mi ha riportato alla mente dei ricordi legati agli scritti di D’Annunzio, in una visione altamente edonistica della vita, che va in qualche modo a contrapporsi a chi dice che l’attesa del piacere è essa stessa il piacere. Viene invece esaltato il piacere di per sé stesso, che non viene atteso, ma viene immediatamente e voracemente goduto, traendone una grande soddisfazione, quasi fisica, ma anche altamente spirituale e mentale.

Al Vox allarga poi il campo della propria riflessione, descrivendo quello che può essere l’oggetto del piacere, cioè qualcosa che si è arrivati a sfiorare, ma non per questo a non provare concretamente, anche se può aver creato un senso di disillusione, perché non si è dimostrato tangibile e concreto, ma labile e sfuggente.

Di disillusione il nostro artista ne ha parlato fin troppo, e questo sentimento lo ha portato per similitudine a sentirsi come un cane, che si illude ed è felice per le piccole cose, apparentemente insignificanti, quali una carezza del proprio padrone, un abbraccio ricevuto: questa felicità viene ampiamente sottolineata, rimarcandola attraverso la ripetizione di un verso, che va a concludere la prima strofa.

A questo punto, fa la sua comparsa quello che appare essere il ritornello, e la base melodica muta, perché fa il suo ingresso una chitarra elettrica spigolosa, accompagnata da un beat abbastanza irregolare, frastagliato: Al Vox mostra di avere capacità interpretative molto forti e pronunciate, e non è un caso che una delle sue più grandi passioni sia il cinema, perché sa modulare la propria voce in mille sfaccettature, ammiccanti, coinvolgenti, che strizzano l’occhio e riescono a persuadere e incantare.

Il nostro cantautore afferma di nuovo la propria felicità nel trovarsi nella condizione di un cane, il quale non chiede nulla, esprimendosi solo con il proprio verso, qui espresso in maniera onomatopeica come “Bau”, ma non per fare paura: tante volte, si dice che “can che abbaia non morde” e questo sembra essere il caso.

Il cane assapora il viso del padrone, secondo me attraverso la propria lingua, perché una delle maggiori dimostrazioni d’affetto di questo animale è proprio il fatto di leccare il viso: da questa dimostrazione di amore si aspetta di ricevere in cambio solo un sorriso, accontentandosi in fondo in fondo di poco.

Questa sorta di ritornello viene ripetuta due volte, quasi a voler ribadire il concetto, a voler rendere chiaro il messaggio di cui si fa portatrice, in una specie di eco che va a ripetere quanto detto in precedenza, dandogli una profonda capacità evocativa, un significato che rimbalza da un lato all’altro del cervello di chi lo ascolta e si diffonde a macchia d’olio al suo interno.

Si ritorna poi alla chitarra acustica e alla strofa, in cui viene ricordata una certa Susy, che può essere un’amica d’infanzia, oppure una delle prime fidanzatine, oppure ancora una cagnolina amica di famiglia: svariate possono essere le interpretazioni attribuibili a questa entità. Di lei si dice che giocava, cosa che può fare sia una bimba che una cagnetta, e che non è stata assolutamente dimenticata: anzi, proprio in suo onore Al Vox ha deciso di incidere questa particolare canzone.

Il nostro artista passa poi a parlare di sensazioni olfattive, abbandonando per un attimo l’atto interamente celebrale del ricordo e descrivendo il profumo del mare, che ci ricorda i movimenti di un bambino che sta crescendo nel ventre della propria madre, quasi che tutto questo fosse un gioco: forse, il collegamento viene dettato dal fatto che il liquido amniotico in cui è immerso il feto ricorda un po’ il mare, per la sua costituzione e per la sua composizione.

Questo bambino in essere, una volta uscito dal ventre materno, ci tiene da subito a ribadire con le proprie urla che lui esiste davvero: questa mi è sembrata un’immagine molto tenera, evocativa di uno dei momenti più belli della vita di una persona, sia dal punto di vista del nascituro che da quello dei suoi genitori, che lo aspettano con impazienza e tenerezza.

Si ritorna poi alla ripetizione del ritornello, che va a concludere la canzone, con la sua chitarra elettrica al veleno e il suo beat che assomiglia al battito irregolare di un cuore malato: viene ribadita la felicità di sentirsi come un cane, che non chiede niente, ma dice solo “Bau”, non per spaventare, ma per manifestare approvazione e gioia, assaporando con la lingua il viso del proprio padrone e aspettandosi come unico regalo un bel sorriso.

Alla fine, ci resta un buon brano, che ondeggia fra l’indie, il pop e il rock, mantenendosi su toni suadenti, ammalianti, principalmente espressi dalla immensa bravura interpretativa di Al Vox, che, come un attore, si diverte a modulare la sua voce in svariate tinte, assumendo tante identità diverse tra loro, ma tutte ugualmente importanti e significative.

L’arrangiamento e la produzione mi sembrano piuttosto buoni, perché riescono a creare un’atmosfera di pathos e sospensione: chi ascolta non sa cosa aspettarsi, perché ogni singolo verso è in grado di sorprendere, molto spesso non avendo legami di sorta con quello che lo precede, in un articolato flusso di coscienza, fatto di paragoni, immagini e similitudini.

Devo ammettere che il talento artistico di Al Vox mi è piaciuto e mi ha incuriosito fin dalla prima canzone: ammiro il suo particolare modo di apparire sempre diverso in ogni brano, riuscendo a mostrare diverse sfaccettature dell’animo umano e andando a svelare e mostrare in profondità la complessa articolazione del pensiero e del ricordo.

Si tratta indubbiamente di un artista eclettico, che con la propria voce può e sa fare di tutto, riuscendo a disegnare e delineare paesaggi e ambientazioni sempre diverse, in modo da non risultare mai noioso o prolisso.

Credo che la cosa migliore, quando si ascolta una sua canzone, sia lasciarsi trasportare dalla melodia e dalle parole, senza voler per forza attribuire un significato univoco al tutto, senza sforzarsi di trovare la chiave giusta che apre tutte le porte, ma lasciandosi trascinare dal flusso di coscienza che viene proposto, in assoluta rilassatezza e libertà.

Ognuno poi può sicuramente dare la propria interpretazione, ma ciò che conta è farsi travolgere dalle note e dalle parole, chiudendo gli occhi e aprendo l’anima e il cuore.

 

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