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Ritorna il nostro Massimo Comi, per raccontarci tutto il nuovo album di Al Vox intitolato “Trenta”, dando un sua visione personale ad ogni canzone. Un album molto importante per l’artista, che potete trovare su tutti i Digital Store e nelle nostre playlist. 

Un album autobiografico quello di Al Vox, che racconta molto della sua vita, attraverso ciò che sa fare meglio, cioè lo scrivere canzoni sempre nuove, con uno spirito teso alla sperimentazione e allo stravolgimento dei canoni consolidati. Il disco è stato composto e pubblicato per celebrare il raggiungimento dei trent’anni da parte del nostro autore, e il titolo scelto, oltre all’immagine di copertina, ne sono una vivida testimonianza: si vede lui da bambino, avvolto in un accappatoio, dopo aver fatto il bagnetto, con il volto furbo e sorridente.

L’album si apre con una canzone che vuole essere, modestamente, una sorta di lezione di vita: su una base melodica fortemente elettronica, che in alcuni tratti si può paragonare a quelle utilizzate dal celebre artista americano Moby, Al Vox predica insistentemente calma. Il ritmo della canzone è piuttosto lento e compassato, molto rilassante e calmante: nelle strofe c’è una parte parlata, in modo sussurrato e soffuso, mentre nel ritornello viene ripetuta molte volte la parola “calma”, sempre con la medesima intonazione, che può sembrare un po’ folle e stralunata, ma che nasconde dentro di sé i semi di una rinnovata fiducia nel proprio essere. Si parla di una liberazione da uno shock, causato da un paradosso temporale, forse perché il nostro artista, nonostante abbia compiuto trent’anni, si sente ancora un bambino che vuole giocare e trastullarsi con le parole, esprimendo dei versi che evocano frasi che avrebbe potuto scrivere Franco Battiato in una delle sue composizioni minimali: una tempesta sembra essersi abbattuta sulle persone, e questo potrebbe essere un riferimento alla situazione caotica che stiamo vivendo nel tempo presente, con la pandemia e la guerra che predominano su tutto il resto. Al Vox parla poi in modo manifesto di una particolare malattia che sembra averlo colpito, la ciclotimia, un disturbo bipolare che gli toglie energie e lo affatica, perché causa un’alternanza di momenti buoni ed energici con altri momenti di forte abbattimento, nei quali la vita sembra non avere un senso. Sembra comunque esserci una sorta di reazione, perché il cantautore ammette che i demoni interiori non sono solo una parte della propria vita domestica, ma sono presenti in ogni momento, passato e presente, e si riveleranno anche nel futuro: è necessario conoscerli, venire a patti con essi, ed esorcizzarli traendone spunto, traendone delle lezioni di vita utili ad andare avanti, per ritrovare la pace interiore, simboleggiata dalla calma, perché in fondo agitarsi sembra non servire a nulla. Interessante la conclusione del brano, fatta attraverso le dolci note di un pianoforte, che vanno un po’ a spezzare l’artificiosità della base elettronica.

La seconda canzone, “Astrolove”, sembra quasi un pezzo dei primi Subsonica, sia a livello testuale che melodico: si parla di atmosfere eteree, spaziali, quasi alla maniera di David Bowie e del suo Ziggy Stardust: Al Vox percepisce una sensazione di leggerezza, di mancanza di gravità, perché dice di stare sulla luna e di fluttuare sopra le nuvole. Anche qui non manca il riferimento ai propri demoni interiori, che secondo l’autore, dato che ci saranno sempre, non vanno ascoltati e vanno esorcizzati, facendo finta che non esistano e non dandogli retta: Al Vox vuole sapere chi è veramente, perché si sente come un alieno, sempre tornando a Bowie, come un outsider, una persona che nei pronostici della vita non è mai la favorita, ma lui va fiero di questa cosa, perché il suo desiderio più intimo è quello di differenziarsi dagli altri, di uscire vincitore anche contro le scommesse che lo danno per perdente. Bisogna lasciare che tutto finisca, far scorrere il flusso della vita, in un quieto e dolce addio a ciò che ci tormenta, anche attraverso un amore che assume delle connotazioni un po’ ermetiche, che non risultano subito chiare a tutti, ma che anzi hanno nella complessità dell’interpretazione il loro punto di forza, e valgono molto di più di qualsiasi omaggio floreale. Il nostro autore vuole ribadire che è fiero di essere considerato un outsider, e lo fa, quasi urlando, nei versi conclusivi della canzone: gli piace vincere contro ogni pronostico, essere imprevedibile, giocare con quello che gli altri pensano di lui, quasi divertendosi alle loro spalle.

Le sonorità della terza canzone appaiono essere quasi dance, e ci riportano alle piste da ballo degli anni ’90, sulle quali si ballava la musica techno, o anche a quelle degli anni ’70, in cui si ballava la disco music. A dispetto di questo, i toni del cantato appaiono essere un po’ cupi, perché, quasi in un sussurro, Al Vox chiede di essere lasciato perdere, perché si sente male, si sente a corto di fiato, in un paesaggio invernale, nel quale la neve lo circonda. Ci sono poi dei versi che appaiono piuttosto ermetici, quasi fossero scritti da uno dei poeti maledetti della poesia francese, esprimendo dolore, cordoglio, quasi un senso di sconfitta, che viene comunque da subito ribaltato attraverso una sorta di resurrezione del nostro protagonista, che sembra riemergere dagli inferi, attraverso un’invocazione quasi gridata al mondo, con una voce che sembra davvero quella di un alieno, il quale vuole che il volume sia il più alto possibile, tanto alto da farlo scoppiare. Dopo un senso di implosione, un raccoglimento su sé stessi, si genera un senso uguale e contrario di esplosione, per buttare fuori tutti i demoni che si hanno dentro e di cui ci si vuole liberare. Il futuro appare buio, senza possibilità di redenzione e conforto, la vita sembra troppo complicata: Al Vox è attratto da una realtà onirica e si sente come un amante bislacco, strano, completamente diverso da tutti gli altri, ricollegandosi a quello che affermava in precedenza, una persona nata per fare ciò che vuole, senza essere ostacolata dalle altre persone nel suo intento.

La voce, nel ritornello, sembra diventare veramente quella di un alieno, di un essere non appartenente a questa Terra, un moderno Bowie che si sente spaesato e trova rifugio nella musica ad alto volume che lo fa scoppiare da dentro, in una sorta di liberazione definitiva.

Le sonorità di questo brano, a tratti, sembrano veramente emesse da un robot, da un androide, a sottolineare di nuovo il fatto che Al Vox a volte non sente di appartenere a questo pianeta, ma prova la sensazione di vivere in un ambiente tutto suo, in cui è libero di fare quello che vuole.

Il brano che segue, “Rispetto”, sembra aprirsi con un’atmosfera più radiosa, luminosa, a cui fa seguito una dichiarazione d’amore: il cantautore dice di amare una persona, anche se non i ricorda più da quanto tempo. Dice di essere stato vicino a questa stessa persona per molti anni: ma, come da tradizione, arriva l’elemento a sorpresa, perché a parlare adesso è la donna, che dice, con una voce tesa e quasi disperata, che tutto ciò non è vero, di essere stata corteggiata e di esserci cascata, che lui l’ha usata, per poi gettarla in mezzo a una strada. Si ritorna poi alle atmosfere leggere ed eteree che hanno caratterizzato l’inizio della canzone, attraverso le quali lui ricomincia a parlare, dicendo che ha solamente seguito l’istinto, che è animale ma allo stesso tempo così naturale, di aver cambiato mille volte faccia e litigato con la propria mente un po’ strana e strampalata, di avere paura dell’amore ma di voler contemporaneamente amare. A questo discorso conciliante subentra ancora l’opinione della donna, che dice di non voler stare al gioco, di avere dignità e di non voler sentire scuse, ripetendo di essere stata ingannata dai suoi corteggiamenti, per poi essere buttata in mezzo a una strada.

Parte quindi una sezione solamente strumentale, in cui si possono ascoltare delle sonorità tipicamente elettroniche, che vanno a richiamare ancora la musica techno e quella dance, con la ripetizione di poche note, artificiali e sintetiche.

In seguito, l’atmosfera torna ad essere più soffusa, e in essa predominano sonorità più complesse e ancora più sintetiche, con una voce che arriva quasi alla disperazione, perché dice che non ci sono parole per esprimere il proprio dolore e il proprio disonore: sembra che sia ancora la protagonista femminile a parlare, la quale dice che la parola ferisce molto di più della spada, che lui con le sue belle parole l’ha solo illusa e manipolata, per poi lasciarla sola al suo destino. La canzone non si conclude quindi con toni positivi, lasciando un po’ l’amaro in bocca, dopo che si sono ascoltate delle forti accuse verso il protagonista maschile, accuse che lasciano un senso di sospensione, perché non si capisce come poi è andata a finire la storia, se c’è stata una possibilità di redenzione.

Se passiamo poi alla canzone successiva, “Ho perso”, vediamo che si apre con una base costituita solo da un semplice beat, sul quale si posiziona una voce che sembra ammettere la propria sconfitta, dicendo di avere perso molte cose, fra le quali alcuni amici, l’integrità mentale, il lavoro, il tempo e i soldi, lasciandosi abbindolare da tentazioni effimere, di poco conto. Anche questo brano appare essere autobiografico, perché Al Vox afferma di vivere imbottito di pastiglie, pur non facendo uso di alcol, che il tempo e lo spazio gli sembrano solo delle illusioni, che tutto ciò è il manifesto universale di quello che lui è e rappresenta in questo momento.

La linea melodica diventa poi più “cattiva”, aggressiva, piena di suspance: si dice che l’unica soluzione pare essere l’esorcismo, dopo aver fatto l’elenco dei propri demoni: questa è una caratterizzazione che ricorre molto spesso nel disco. Questi demoni, prima o poi, si allontaneranno, dando origine ad un Capodanno di una nuova era, diversa e migliore della precedente.

Le sonorità si fanno poi quasi apocalittiche, simili a quelle dei canti gregoriani: Al Vox dice di aver perso la voce anche per dire due semplici parole come “Ti Amo”, ma che poi questa è tornata come un temporale, la cui pioggia fa pensare e riflettere, spingendo a stare svegli di notte per provarsi una giacca nuova, per lasciarsi andare, sperando in qualcosa di meglio, che gli dia la forza di fare la rivoluzione che è necessario fare e che lui si sente in dovere di fare.

Si ripete poi quello che appare essere il ritornello, in cui ritornano i demoni da scacciare con un esorcismo, che si allontaneranno portando alla nascita di una nuova era.

Dopo un momento di stacco silenzioso, in cui sembra di sentire solo il rumore delle onde che si infrangono sugli scogli, riappare ancora il ritornello, questa volta cantato a due voci con canto e controcanto, da Al Vox e da Luisenzaltro.

Il brano si conclude con una parte di solo pianoforte, molto dolce e armoniosa, che sembra essere la testimonianza sonora della nuova era che è stata raggiunta: questa parte sfuma progressivamente.

Segue poi una canzone che si discosta un po’ dalle precedenti, “Elettrofilastrocca”, la quale, utilizzando una base elettronica fatta di sonorità piuttosto inusuali, se si può dire molto “clownesche”, recita una vera e propria filastrocca, con tanti giochi di parole e con tante assonanze, con una voce dalla tonalità molto bassa, molto grave, con parole scandite molto bene: l’effetto complessivo è molto straniante, perché da una filastrocca di solito ci si aspetta un po’ di ironia, mentre in questa prevale un senso di serietà, rigidità, con un andamento sincopato dei versi, molto cadenzati.

Si parla di un bambino, che viene invitato a giocare, perché nel mondo là fuori c’è il declino: è meglio che resti chiuso nella sua stanza con i propri giocattoli, perché se esce di casa trova una realtà che gli sarà avversa. Si parla anche di amore, un amore che viene e che va, ma che non sa dove tornare: questa parte testuale viene ripetuta molte volte e in modi diversi nella parte conclusiva del breve brano, prima scandita ad alta voce con una base sottostante, poi solo a parole e infine sussurrata.

Il brano successivo, “Nero Carbone”, si apre con sonorità minimaliste, quasi dissonanti: Al Vox si sente ancora una volta elevato verso il cielo, in mezzo agli angeli, e si chiede perché gli altri lo vedano invece giù in basso. Lui aiuta e allieta gli angeli stessi, e non crede alle parole degli altri, che lo vedono con i piedi ben piantati per terra.

Il sound, successivamente, si fa ancora più intricato e di difficile ascolto, molto somigliante a quello del krautrock tedesco: il nostro autore sembra elencare tutte le diagnosi che hanno fatto i vari dottori sulla sua situazione, giudicandolo inadatto ad ogni contesto sociale, addirittura pazzo, narcisista, ingannevole.

Egli passa poi in rassegna i vari modi in cui è stato definito nel mondo della musica, un fallito, un artista senza talento, ritornando poi a parlare del suo rapporto con gli angeli, sempre su una base molto minimalista, analoga a quella dell’inizio, con un tono di voce sempre più disperato, che si chiede continuamente come mai gli altri lo vedano sempre sulla Terra, quando lui invece si sente sospeso nell’aria.

Si sente poi quello che sembra essere il rumore di una sega circolare, e Al Vox ripete la parola “emicrania”, forse per affermare che il contrasto tra ciò che lui pensa di sé e il modo in cui gli altri lo vedono gli fa venire il mal di testa: nella sua mente inizia a farsi strada la notte, che avanza con il suo buio, che causa sudore e lacrime. In questa parte del brano sembra di sentire il verso di un gufo, animale notturno per eccellenza: il protagonista della canzone si sente a corto di fiato, anche se ha ancora tanto da dire, e si chiede come mai gli altri ridano di lui, percepisce di essere schiavo del proprio cuore, quindi delle proprie emozioni. Arriva a questo punto il verso “nero carbone”, il verso che dà il titolo alla canzone e che forse rappresenta il sentimento che Al Vox prova, che si rifà un po’ al buio e alla notte che percepiva dentro di sé: il carbone, come tradizione, viene portato ai bambini cattivi e usato come minaccia per farli stare buoni nel periodo natalizio. Può essere che lui si senta giudicato un discolo, un poco di buono, da chi gli sta intorno: il brano si conclude con la ripetizione di un suono metallico, stridente, che sembra simulare ciò che l’autore percepisce nella propria testa.

La canzone successiva, “Diverso”, si apre con un beat molto classico, ovattato: l’autore dice di sentirsi diverso dagli altri, con un mood depresso, dicendo che alla gente non importa come lui si senta, accusando una persona a lui vicina e dicendogli che è la prima a non reagire.

Si apre poi una parte piuttosto scioccante, con delle sonorità molto borderline, molto al limite, e una vocalità che urla disperata verso chi non capisce la situazione: a questo punto, abbiamo un collegamento con gli angeli di cui si parlava prima, perché Al Vox dice di sentirsi benedetto.

Poi, si ritorna al beat essenziale dell’inizio: le parole più ricorrenti sono “disconnesso”, “diverso”, un altro collegamento con quanto si diceva in precedenza. Lui non prende in considerazione né i soldi né il successo, vuole solo essere apprezzato per come è veramente.

Segue una parte completamente strumentale, che sembra abbassare un po’ i toni, ma che invece è seguita di nuovo da una parte dissonante, in cui la voce torna a urlare il suo risentimento, dicendo che, se gli altri preferiscono le visualizzazioni su YouTube, lui predilige le emozioni: gli altri lo vogliono veder fallire, ma lui si sente benedetto e ci tiene a sottolinearlo. Il brano si conclude con delle sonorità più dolci, più avvolgenti, che vanno a sfumare progressivamente.

Abbiamo poi la canzone “Apocalisse”, che si apre con un beat quasi da sigla di cartone animato e la ripetizione della parola che dà il titolo al brano, con piglio quasi ironico.

C’è l’Apocalisse annunciata, cui Al Vox fa riferimento probabilmente attraverso il racconto del libro religioso, e che per lui è già venuta, anche se la protagonista femminile della canzone sembra non essersene accorta.

I toni e il sound si fanno poi maggiormente cupi, mistici, penetranti: il nostro autore afferma che ha scelto di non scegliere, e lo ribadisce, come per dire che l’ascoltatore ha capito bene, e continua dicendo che la vita con lui non è mai stata veramente una vita, eppure lui si sente in cima (al Mondo?). Ribadisce anche quest’ultimo concetto, che cioè non sarà stata vita, ma lui sta in cima.

Il brano riprende poi i toni quasi giocosi dell’inizio, e Al Vox dice che può essersi sbagliato, ma lui l’Apocalisse l’ha già vista: con una vocalità quasi onirica, sognante, dice di volare sopra le nuvole, ricollegandosi ad uno dei concetti principali espressi precedentemente, seguendo un sogno che non si è mai realizzato, ma del quale lui non si pente. Il verso “non mi pento” viene ripetuto varie volte, assumendo una connotazione sempre più implorante, con una vocalità che si fa, se così possiamo dire, sempre più psichedelica e lisergica, quasi anni ’60, il periodo di maggior splendore della psichedelica appunto. L’autore ci tiene a dire che lui non si pente, e conclude questa parte con un “no” perentorio, che non ammette repliche.

Si ritorna poi a parlare dell’Apocalisse: se uno non ci crede, è sufficiente che si guardi intorno, per capire che c’è già stata, che domina la realtà e la pervade completamente. Lui lo dice, lo ripete a chi lo ascolta: l’Apocalisse, quella annunciata, è già arrivata. C’è poi un momento piuttosto curioso, sia a livello sonoro che a livello vocale, che segna una piccola interruzione nel discorso complessivo della canzone, con una base sonora e un cantato che sembrano fatti scorrere alla rovescia, creando un effetto sorprendente, quasi che a cantare sia un robot con i circuiti fusi e non Al Vox.

Nessuno ci può fare niente, lui si sente giù, ma un fatto è certo, per chi magari non l’avesse capito: l’Apocalisse è intorno a noi, e viene citata moltissime volte all’interno del testo della canzone, che si chiude con un curioso effetto sonoro, quasi il rumore di un onda registrato alla rovescia.

Il disco si conclude con l’ultimo brano, intitolato “Spleen”: questo titolo mi ha portato subito alla mente i poeti maledetti francesi, che parlavano di un disagio sociale, di uno spaesamento rispetto alla realtà in cui si trovavano a vivere. Credo che questo significato ben si adatti a tutto ciò che Al Vox ha voluto esprimere nella sua opera.

La canzone si apre con delle sonorità che ricordano ancora il krautrock, molto “sintetiche”, quasi di plastica: il cantato è quasi incomprensibile, perché è sussurrato e ha un volume più basso rispetto alla melodia: si capisce che l’autore afferma il proprio bisogno di dormire, perché probabilmente soffre di insonnia, oltre a tutto il resto. Quello che è certo è che nel testo si parla dei bisogni che il cantautore sente di avere: sembra che citi le dosi in milligrammi di alcune medicine, aggiungendo che ha bisogno di stare calmo.

Poi il cantato si fa improvvisamente più chiaro: sappiamo ormai che le canzoni di Al Vox riservano sempre delle sorprese. Lui deve risvegliarsi da un brutto sogno, sognando al contempo delle cose che nessun altro sognerebbe mai.

Ancora una volta dice di non sentirsi bene, che ha bisogno di ricevere la fede, perché probabilmente si sente tradito dagli avvenimenti della vita: la canzone assume un tono quasi mistico, religioso, perché Al Vox chiede a un non meglio precisato interlocutore di punirlo, addirittura di impiccarlo, perché, essendo un uomo, è anche un peccatore. Dice che vuole essere ferito, ammazzato, odiato, ma anche al contempo amato, in un contrasto di sentimenti che ben simboleggia la sua mente in balia di una sorta di pazzia interiore, che non se ne vuole andar via. C’è l’invocazione ripetuta a non dimenticare, la necessità di ricevere un abbraccio consolatorio, un contatto umano, di capire chi veramente è lui stesso, di sentirsi dire che è umano, di capire a chi veramente appartiene, sempre con l’invito a non dimenticare, che conclude definitivamente l’album.

Alla fine, ci resta un album ricco di contenuti, di metafore, di significati nascosti, di elementi che ciascun ascoltatore può interpretare a modo suo, può proiettare sulla propria vita, attribuendogli un senso diverso.

Mi sembra che il concetto principale sia la sensazione di inadeguatezza che Al Vox percepisce nei confronti del mondo in cui si trova a vivere, un disagio esistenziale che lo pervade, un senso di fallimento che lo spinge a chiedere agli altri chi veramente lui sia e a chi appartenga realmente.

Credo che il buio sia predominante sulla luce, la tenebra e l’oscurità sulla luminosità, tanto che l’autore arriva a dire che l’Apocalisse è già arrivata ed è intorno a noi.

Questo album, oltre a celebrare il raggiungimento dei trent’anni di età, segna secondo me una tappa fondamentale nella carriera di Al Vox, che non ha paura di mostrare le proprie debolezze e fragilità, oltre che le sue percezioni: si sente una sorta di alieno in questo Mondo, come ho detto un moderno David Bowie, che volteggia sopra le nuvole e parla con gli angeli, anche se le persone che lo circondano non riescono a capirlo e a vederlo.

Secondo me c’è anche un rimpianto per i tempi dell’infanzia, come dimostra la copertina dell’album e come afferma l’inserimento di una filastrocca a metà disco, che invita un bambino a continuare a giocare nella propria stanza, perché la realtà che c’è al di fuori di essa non è molto bella, per non dire traumatica.

Anche questo disco di Al Vox ci riserva molti colpi di scena e molte sorprese: sicuramente non è di facile ascolto e potrebbe risultare in qualche modo disturbante per una persona sensibile, ma sicuramente è autentico, vero e ben calato nella realtà che il suo autore proietta sul mondo circostante.  

 

 

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