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Sono tornati a trovarci i Quaalude, questa band italiana ma dalle sonorità british, oggi ci presentano il loro album “Under My Hat”, e possiamo approfittare per conoscerli un po’ meglio, artisticamente e personalmente.

Ciao ragazzi, felice di riavervi con noi, complimenti davvero per il vostro album, molto bello.
– Per coloro che ancora non vi conosce, raccontate qualcosa di voi, raccontate brevemente chi siete.
Siamo un gruppo dell’hinterland milanese e suoniamo da circa 6 anni. Abbiamo avuto alcuni cambi di formazione ma in questo momento siamo molto uniti e affiatati. Abbiamo cominciato, come tanti colleghi, suonando cover, ma quasi da subito abbiamo cominciato a scrivere canzoni nostre. Il nostro genere rientra nel brit pop/rock perché è quello in cui ci ritroviamo di più. Nella vita di tutti giorni ognuno di noi lavora o studio, ma la musica è la nostra grande passione.

– Mi ripeto, il vostro album è davvero ben fatto ma come mai avete deciso di pubblicarlo proprio in questo periodo complicato?
Vi ringraziamo per il complimento! Abbiamo deciso di pubblicarlo in questo momento perché sentivamo la necessità di dare un punto di svolta alla nostra carriera musicale. Le canzoni contenute nell’album sono state scritte nel corso degli anni, attraversando, come dicevamo prima, alcuni cambi di formazione che hanno in parte destabilizzato il nostro percorso. In questo momento invece ci sentiamo molto uniti e in sintonia tra noi e volevamo darci l’occasione di raccontare il nostro vissuto alle persone. Eravamo ben consapevoli che l’Emergenza Sanitaria in atto non ci avrebbe permesso di suonare le nostre canzoni sul palco, ma volevamo arrivare a chi ci ascolta e sentirci tutti un po’ più vicini.

– Che aspettative avete per questo lavoro? Cosa sperate?
Questo lavoro per noi non è un punto di arrivo ma di partenza. Ci auguriamo che possa raggiungere più persone possibili in modo da poter ricevere un feedback sulla nostra musica, perché siamo sempre al lavoro su noi stessi e sulla nostra musica e ci piace avere un rimando da chi ci ascolta. Già a distanza di qualche tempo dalla pubblicazione abbiamo ricevuto rimandi positivi e spunti che ci hanno permesso di rimetterci subito al lavoro con nuovi brani.


– Parlateci del vostro album “Under My Hat”. Raccontateci qualcosa di più dei brani.

“Under My Hat” è un viaggio tra i pensieri di ognuno di noi. Tutti i giorni quando usciamo e ci interfacciamo con le altre persone indossiamo un “cappello”, una “maschera”, che consente di proteggere i nostri pensieri più intimi. Quando torniamo a casa e stiamo con noi stessi invece possiamo togliere il cappello e guardare cosa c’è sotto, nella nostra mente. Ogni brano, infatti, è un dialogo con un Tu generico che si riferisce a situazioni che spesso si verificano, perché il nostro obiettivo era quello di permettere a chiunque di identificarsi nelle canzoni, di pensare al suo vissuto e di dargli voce.

– Quali sono i vostri progetti futuri?
Sicuramente continuare a scrivere musica, ma anche di tornare a suonare sui palchi. Per fortuna la tecnologia ci consente di continuare a creare anche se siamo lontani.

– Siamo vivendo ancora un periodo assurdo. Qual è la cosa che vi manca di più?
Decisamente tornare a suonare, anche solo in sala prove. Per non parlare del contatto con il pubblico, con le sue emozioni e il suo coinvolgimento.

– Cerchiamo di conoscere qualcosa in più di voi. Presentatevi uno per uno e descrivetevi con un aggettivo o una breve frase.
Noemi, cantante. Introspettiva, mi piace scoprire e sentire gli aspetti più personali della musica.
Federico, chitarrista. Semplice, mi piace la semplicità e trovare il massimo nelle piccole cose.
Erik, chitarrista. Espressivo, sul palco mi piace cercare di interagire il più possibile con la band e il pubblico.
Cece, bassista. Riflessivo, sul palco mi piace godermi lo spettacolo, le nostre canzoni e il pubblico, osservando tutto con calma.
Marco, batterista. Intenso, sul palco mi piace immergermi e lasciarmi trasportare dalla musica e dal pubblico.

– Se vi va raccontateci un aneddoto piacevole riguardante la musica.
Un aneddoto curioso che a volte raccontiamo è quello legato a un brano di “Under My Hat”. Una sera di dicembre eravamo a casa di Federico (chitarrista), che ci ha fatto sentire una nuova melodia; Noemi l’ha ripreso con il cellulare per non dimenticarsene. Ma il tempo è passato e nessuno di noi ha più ripreso quel giro di chitarra, dimenticandosi della sua esistenza. Mesi dopo, Noemi, facendo pulizia tra i file del cellulare ha ritrovato il video e se ne è innamorata, dando vita così a 17th December, l’ultima traccia dell’album.

– Come descrivereste il lavoro svolto fino ad ora? Vi ritenete soddisfatti?
Siamo molto soddisfatti, soprattutto perché è stato un viaggio in cui siamo cresciuti a livello personale e tecnico, permettendoci così di migliorare continuamente il nostro modo di esprimerci e di raggiungere chi ci ascolta.

– Siamo arrivati a fine intervista… Domanda a scelta.
C’è qualcosa che non vi ho chiesto ma avreste voluto vi chiedessi? Potete farvi una domanda e rispondervi.
Avete in mente di scrivere canzoni anche in italiano? Sì, siamo già al lavoro, sempre in cambiamento e sempre in crescita. Stay tuned!


Quaalude – Simplicity 

 


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