Con il suo nuovo album “Adults Are Just Kids Wearing Masks”, Thomas Simon Saddier, l’anima creativa dietro Oppenheimer’s Elevators, ci invita in un universo di suoni psichedelici e post-rock, dove le maschere che indossiamo nella vita quotidiana vengono svelate attraverso la musica. In questa intervista, Saddier ci guida dietro le quinte della sua opera, raccontandoci il processo creativo, le influenze artistiche e il significato profondo di questo lavoro.
Benvenuto Thomas e agli Oppenheimer’s Elevators, sul nostro magazine; Raccontaci qualcosa di te, presentati ai nostri lettori… incuriosendoli e con la speranza che andranno ad ascoltare i tuoi brani…
Sono un musicista francese esiliato a Montreal da cinque anni, presto avrò 36 anni e faccio musica strumentale e psichedelica sotto il nome di Oppenheimer’s Elevators.
Cosa ti ha ispirato a creare l’album “Adults Are Just Kids Wearing Masks”?
La mediocrità, credo. Sono stanco della mediocrità dei miei simili che si accontentano di vivere in un mondo da bambini. La mia generazione è una generazione di grandi bambini che giocano a Pokémon. Alla fine, tutta la nostra società è una società falsa in cui tutti interpretano un ruolo, nascosti dietro una maschera.
Il titolo dell’album sembra molto evocativo. Qual è il messaggio che vuoi trasmettere con questa metafora delle maschere?
Che non si diventa più adulti, che l’assenza di riti di passaggio nelle nostre società moderne ha creato bambini adulti che restano concentrati su se stessi senza avere vere nozioni di come comportarsi nella società.
In che modo le tue esperienze personali e il tuo trasferimento a Montreal hanno influenzato la composizione dell’album?
Montreal è la Mecca del post-rock e possiede una vasta scena alternativa. È il centro di una grande creazione musicale, quindi sono molto ispirato da questa città. Inoltre, è un album che ho composto e registrato principalmente durante l’inverno. Bisogna sapere che gli inverni qui sono terribili e spesso non si può uscire. Questo isolamento mi ha ispirato questo disco.
Hai suonato tutti gli strumenti nelle tracce. Qual è stata la sfida più grande nel registrare ogni parte da solo?
La sfida più grande nel fare tutto da solo è sapere dove si sta andando e avere un buon metodo di lavoro. La sfida più grande che ho incontrato per questo disco è stata ottenere un suono uniforme su brani che non hanno nulla in comune.
“Grafic VS Art” è uno dei singoli principali. Cosa rappresenta per te questa traccia in particolare?
È un brano di rabbia e collera. Sono convinto che l’arte non si possa spiegare, è qualcosa che non si può quantificare o ridurre a un grafico o a un’equazione. Questo brano esiste per combattere tutti quelli che pensano che l’arte, come la prestidigitazione, sia frutto di un “trucco”.
L’album unisce suoni molto diversi tra loro, come il sitar indiano e i sintetizzatori. Come sei arrivato a questa fusione unica di strumenti?
Utilizzo principalmente un sitar elettrico degli anni sessanta che collego a pedali per chitarra, il che permette di ottenere un suono più sintetico che si sposa perfettamente con i miei vecchi sintetizzatori. In un certo senso, non è difficile usare strumenti indiani con macchine elettroniche; basta trovare il suono giusto e pensare al sintetizzatore come a uno strumento indiano.
Ci sono artisti o movimenti musicali che hanno particolarmente influenzato il sound di questo album?
Direi che questo progetto è stato ispirato dal musicista francese “L’orchidée Cosmique”, un one-man band di noise rock. Mi è piaciuta molto l’idea di suonare da solo e di essere un uomo di fronte alle macchine, per vedere cosa si può fare. Per questo progetto sono sempre stato influenzato da Anton Newcombe, Explosion in the Sky e Nils Frahm.
Molte tracce, come “Happiness Is a Lie” e “Positivism Is the New Fascism”, sembrano avere una forte componente sociale e politica. Che ruolo ha la critica sociale nella tua musica?
Penso che politica e musica siano indissociabili. Le nostre società moderne, separando la politica dal resto, predispongono al totalitarismo. Credo che il pensiero positivista che si sta infiltrando nella nostra società occidentale sia estremamente dannoso. La vita non è né positiva né negativa, ma pensando e costringendo gli altri a vedere il mondo solo attraverso il prisma del positivo, si cancella una parte della vita, poiché un evento negativo può avere implicazioni positive nella nostra vita.
Qual è stata la traccia più emozionante o significativa da comporre per te e perché?
Il primo brano dell’album è per me il più emozionante perché sono riuscito a rendere pop elementi tratti dalla musica ripetitiva americana. Penso che ci sia una grande emotività in questo pezzo.
Cosa speri che il pubblico provi o comprenda ascoltando “Adults Are Just Kids Wearing Masks”?
Vorrei che lo ascoltassero come un viaggio verso qualcosa. Ognuno sentirà quello che vuole, ma va visto come un mondo musicale che apre diverse porte. È un album da ascoltare con calma in un mondo troppo frenetico.
Siamo giunti alla conclusione dell’intervista. C’è un aspetto che desideri condividere ma che non abbiamo avuto l’opportunità di chiederti? Potresti porti una domanda e condividere la risposta con noi?
Avrei voluto condividere ancora molte cose con voi, forse la mia visione della musica o le ragioni che ci spingono a farla. Che cosa strana, in fondo. La domanda che potrei pormi sarebbe: “Hai trovato quello che cercavi nella musica?” E risponderei sì.
Conclusione:
Thomas Simon Saddier ha creato un’opera che va oltre i confini musicali, portando l’ascoltatore in un viaggio profondo e introspettivo. “Adults Are Just Kids Wearing Masks” è un album che non solo invita all’ascolto, ma anche alla riflessione. Con questa intervista, Saddier ci ha offerto uno sguardo nel mondo dietro la musica, lasciando intuire il potere trasformativo della sua arte.
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