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Oggi, il nostro Massimo Comi, cerca di raccontarci un brano strumentale molto particolare “Circulus Aeterni Motus” del compositore veneto Edoardo Gastaldi. Un bellissimo brano ma assolutamente non semplice da interpretare. Chissà se il nostro amico Massimo sarà riuscito da dare una sua interpretazione?! Trovate la musica dell’artista su tutti i Digital Store e nelle nostre playlist.

Devo ammettere che è la prima volta che mi trovo a recensire un brano dal titolo completamente in latino, e, se devo parlare dell’impressione immediata che mi ha dato, posso affermare di aver pensato alla rappresentazione in musica del moto, del movimento, una rappresentazione, per così dire, circolare, di uno stato delle cose che appare eterno, con un inizio ma senza una fine, che continua a girare circolarmente su sé stesso in un moto perpetuo, come un pendolo che va avanti ad oscillare con un movimento sempre uguale a sé stesso, che non smette mai, in un perpetuo tornare nella posizione iniziale, dopo essersi mosso in avanti, in un’infinita serie di movimenti perennemente identici, che danno un’impressione sia di linearità, data dalla loro direzione, che di circolarità, poiché tutto si risolve alla fine, appunto, in un ritorno perenne alla posizione iniziale.

La copertina del brano raffigura quest’idea attraverso la rappresentazione di elementi naturali, come l’acqua, le nuvole e il cielo, i quali danno una perfetta idea di movimento lineare, dato che il loro moto si sviluppa praticamente sempre in linea retta, ma che traggono allo stesso tempo un’idea di circolarità perché seguono l’andamento rotatorio del pianeta Terra, che con la sua forza e il suo magnetismo li porta a muoversi seguendo la propria direzione, descrivendo un cerchio, con un moto che, con il trascorrere del tempo, riporta tutto nella posizione iniziale.

Quando ho ascoltato il pezzo, mi sono venute subito alla mente le colonne sonore di Ennio Morricone, che attraverso compozioni orchestrali metteva in musica il significato più profondo delle pellicole a cui le sue note facevano da ideale sfondo.

Mi sono infatti trovato di fronte ad un brano interamente strumentale, dal ritmo e dalla cadenza apparentemente rilassati, eterei e onirici, ma ad un più attento ascolto, anche sincopati e cadenzati, secondo uno schema ben prestabilito.

Il suono degli strumenti ad arco la fa un po’ da padrone, ritornando ciclicamente all’interno dell’intero brano, con poche note, ma prolungate nel tempo, in modo da dare anche l’idea di una linearità di fondo, in opposizione alla circolarità di cui si è parlato sopra: abbiamo quindi due idee che vanno ad opporsi fra loro, un movimento continuo, disteso e allungato temporalmente e un ritorno ciclico delle stesse linee melodiche, che vanno a ripresentarsi costantemente in una ripetizione che fa pensare all’infinito.

La caratteristica che a mio parere predomina all’interno della composizione è l’essenzialità, poiché non vengono utilizzati una miriade di strumenti diversi, ma poche e selezionate fonti di suono, che si vanno ad espletare attraverso il prolungamento e l’estensione delle note degli archi e a qualche inserto di elettronica sperimentale, che fornisce quel tocco di modernità e attualità, accentuando ancora di più la componente onirica e sognante dell’intero pezzo.

Si tratta di un brano estremamente rilassante, che fa viaggiare la mente verso mete sconosciute, che fa librare il pensiero e lo innalza, come se chi ascolta venisse proiettato verso l’alto e potesse osservare tutto ciò che accade da una posizione privilegiata.

Il tono che mi sembra prevalere è quello in minore, perché si tratta di una composizione dalla tonalità complessivamente triste, dolorosa, sofferente, cupa: gli sprazzi di luce sono a mio parere pochi, e un’atmosfera oscura fa da sfondo a tutto, ricoprendo il brano con una coltre nera, come se questo dovesse narrare un avvenimento dalle tinte tristi e malinconiche.

Se chiudo gli occhi, mi raffiguro un eroe che guarda il campo di battaglia che si estende desolato davanti a sé, alla fine di una lotta cruenta, che non ha lasciato sopravvissuti oltre a lui: mi viene da pensare ad una carrellata sulla devastazione lasciata dalla battaglia, con i cadaveri dei nemici e delle proprie truppe affastellati uno sopra l’altro in un bagno di sangue.

Può essere che la visione da me evocata qui sopra possa rivelarsi forse un po’ troppo apocalittica e crudele, ma è questa l’impressione che mi ha lasciato a caldo l’ascolto della composizione: forse, riascoltando il tutto a mente più fredda e lasciando trascorrere un po’ di tempo, potrei riuscire a trovare degli spazi più ampi di luminosità.

Una caratteristica sicuramente vera del brano è il fatto che esso induca l’ascoltatore a riflettere, perché il suo andamento colpisce nel profondo e riesce a sgombrare la mente da tutti i pensieri che la affollano, facendola veleggiare per quattro minuti in spazi aperti, sconfinati e onirici.

Io trovo questa composizione come qualcosa di aperto, il cui significato non è in definitiva uno ed uno soltanto, perché essa si presta secondo me ad una miriade di interpretazioni diverse: io ho personalmente fornito la mia, ma non è detto che qualcun’altro, dopo averla ascoltata, ci trovi invece degli elementi di luminosità e speranza, al contrario di quello che ci ho trovato io.

Secondo me, la forza di questi brani interamente strumentali, che vanno ad utilizzare pochi e selezionati strumenti, è proprio quella di lasciare aperte numerose porte, ciascuna costruita dalla sensibilità personale di ciascuno: ognuno è quindi libero di vederci dentro quello che ritiene più giusto e aderente al proprio pensiero.

Quello che resta è una composizione che tenta di dare, come detto, un significato compiuto all’idea di contrapposizione fra andamento lineare, rappresentato dalle poche note degli strumenti ad arco tenute a lungo, e andamento circolare, dato dalla riproposizione, dall’inizio alla fine, degli stilemi e degli stili di fondo, che non cambiano mai nel corso del brano e si ripresentano appunto ciclicamente, in una sequenza ripetuta che alla fine riporta l’ascoltatore nei territori che aveva tratteggiato all’inizio.

Credo che il modo migliore per ascoltare questo strumentale sia quello di isolarsi da tutto ciò che ci circonda e che ci può disturbare, mettere la stanza in penombra, indossare le cuffie e chiudere gli occhi: in questo modo, la mente sarà libera di viaggiare e volteggiare in mondi immaginari, sognanti e di fantasia, che, come affermato prima, possono anche essere differenti da quelli che ho immaginato personalmente io, perché la sensibilità verso la musica e soprattutto verso i brani completamente strumentali è diversa da individuo a individuo, e questo è anche il bello di queste composizioni, che vanno a stimolare la curiosità e l’immaginazione.

Le forze della natura sembrano essersi scontrate fra loro ed aver originato un campo di battaglia desolato, malinconico e tetro, all’interno del quale non esiste più uno spazio reale d’azione per gli esseri umani, ma solo di comprensione del fatto che è sempre esistito e sempre esisterà uno scontro, un’opposizione fra le forze della linearità e quelle della circolarità.

Riflettendo su tutto ciò, mi è venuta in mente una contrapposizione metaforica in questo senso, quella cioè tra odio e amore: questo perché il primo colpisce in modo diretto e lineare una persona, mentre il secondo avvolge in modo circolare le persone.

Alla fine, ci resta un buon brano strumentale, che potrebbe essere definito come musica d’ambiente, sulla falsariga di quella composta da Brian Eno, portando alle estreme conseguenze il paragone: una musica capace di riempire i momenti di silenzio e di attesa, di riflessione e di contemplazione.

La composizione risulta ben prodotta, perché la qualità del suono è abbastanza elevata, e ben strutturata interamente, proprio perché si basa su di una linea melodica di strumenti ad arco, che si ripete circolarmente, arricchita in alcuni suoi momenti da inserti elettronici, che la completano e la rendono più attuale.

L’unico “problema”, almeno a mio parere, è che l’autore ha fatto prevalere eccessivamente la componente drammatica, cupa, oscura, lasciando poco spazio a possibili bagliori di speranza e luce: l’articolazione complessiva è comunque buona, e questa cupezza di fondo non va a compromettere l’effetto generale che si va a sviluppare, quello cioè di un rilassamento, di un allentamento della tensione e di una spinta ad immaginare situazioni ad occhi chiusi.

E’ come detto la prima volta che mi cimento nella recensione di un brano strumentale di questo tipo, e spero di essere riuscito a descrivere in modo adeguato le mie sensazioni e le mie emozioni rispetto ad esso: la composizione può risultare un po’ ostica a chi è abituato alle comuni canzoni fatte di testo e musica, ma questa difficoltà può essere superata chiudendo gli occhi e concentrandosi profondamente su quello che si sta ascoltando, immergendosi completamente nello spazio d’azione all’interno del quale si sviluppa.

Sono curioso di vedere se anche la prossima composizione avrà un titolo e uno sviluppo così particolari: resto in attesa di novità future.

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