Il nostro amico Massimo Comi oggi analizza l’ultimo brano di Antòn, raccontando le sue impressioni e sensazioni, cercando di invitare l’ascoltatore ad ascoltare e capire questa canzone. Potete trovare la musica di Antòn su tutti i Digital Store e nelle nostre Playlist di Spotify.
Si può dire che Anton, con questa canzone, torni alle origini, cioè al rock che ha animato i suoi primi componimenti, dopo una parentesi un po’ più soft, fatta forse per alleggerire un po’ i carichi da undici che piazza sempre in ogni suo brano, con passione e voglia di appassionare e appassionarsi.
La canzone affonda dunque le sue radici nel rock, e non mi sbilancio troppo se dico che, in una delle sue parti, vicino alla conclusione, le chitarre assumono dei toni ed una pesantezza che ricorda da vicino addirittura l’hard rock.
La linea di chitarra è ben sostenuta da una batteria forte, ben ritmata e consapevole della propria importanza: la base ritmica è secondo me fondamentale per il successo di un brano. Il ritmo imposto dalla batteria stessa è sempre molto deciso, quasi frenetico, e non rallenta quasi mai, tenendo sempre l’ascoltatore in una posizione di profonda attrattiva e interesse verso quello che gli viene proposto, senza che perda l’attenzione o si distragga e annoi.
Con questo pezzo non c’è a mio parere veramente motivo e occasione di annoiarsi: oltre al ritmo, alla pesantezza delle chitarre, c’è anche la voce del nostro cantautore a tenere desta l’attenzione, perché è come al solito molto particolare, ricca di modulazioni e cambi di tonalità, varia e mai uguale a sé stessa, mutevole.
Il testo ci riporta indietro all’infanzia di Anton, un periodo della sua vita in cui si sentiva più forte e sicuro, in cui non aveva condizionamenti mentali o dipendenze, in cui sapeva cavarsela da solo e non aveva bisogno di aiuti esterni.
Il messaggio di cui si vuole far portatore il brano è quello che, con l’avanzare dell’età, si perdono alcune delle buone qualità che si possedevano da bambini, quali la spensieratezza, la spontaneità, il coraggio di dire sempre la verità e la serenità interiore.
Abbiamo quindi un velo di malinconia, che va un po’ a contrastare la durezza del sound, creando una contrapposizione interessante, secondo me molto intelligente e profondamente voluta, che lascia un po’ spiazzato l’ascoltatore, il quale, con un ritmo e una pesantezza del genere, vorrebbe ascoltare un testo altrettanto “scoppiettante” e pieno di vita. Anton, invece, riesce a sorprendere, parlando della nostalgia che prova per la propria infanzia e mettendosi a nudo, mostrando le proprie fragilità e i propri dubbi esistenziali, che, nel rapporto con la forma canzone, vengono in qualche modo esorcizzati per un momento, mitigati, proprio perché esternati attraverso il messaggio di cui il brano stesso si fa portatore.
Di cosa parla quindi nello specifico il nostro artista? Dice che, quando aveva dieci anni, era molto più grande rispetto ad ora, nel senso che possedeva una capacità immaginativa innata e una fantasia debordante, che gli consentivano di trovare da solo le risposte alle domande, mettendosi a giocare con una nuvola: gli bastava quindi guardare il cielo azzurro, velato da qualche nuvola bianca, per far volare verso l’alto la propria immaginazione, e costruirsi nella propria testa dei mondi in cui tutto andava per il verso giusto ed in cui ogni domanda riceveva una pronta e risolutiva risposta.
Oltre ad essere più forte, aveva anche un sorriso diverso, una maggiore allegria e spensieratezza, e poteva permettersi di tenere scoperti i propri occhi, perché non erano mai velati dalla tristezza o dalla malinconia, ma erano sempre espressivi e sinceri. Si sentiva insomma come un novello Peter Pan, eternamente giovane, in grado di saltare agilmente da un posto all’altro, senza farsi scoprire dagli adulti e volare sopra la propria “Isola Che Non c’è”, collocata dopo la seconda stella a sinistra, come diceva Edoardo Bennato nella sua famosa canzone.
Comunque, non tutto sembra perduto, perché Anton, nonostante le difficoltà, crede che sia ancora possibile volare con l’immaginazione, guardare il mondo con uno sguardo puro, libero dalle pesantezze e dalle incertezze, immacolato e innocente.
Però, subito dopo, il nostro cantautore ripiomba nel dubbio, perché afferma di essersi perso dentro sé stesso, di essersi rinchiuso dentro i complessi meandri della propria mente, da cui sembra impossibile uscire, come se si trattasse di un complicato labirinto. Quello che sembra averlo fregato, se così possiamo dire, sono le illusioni che nel corso del tempo si è creato, magari sulle cose e sulle persone, illusioni che sono state puntualmente infrante, facendolo piombare nella malinconia per ciò che è stato.
Ma, alla fine, lui arriva a chiedersi in cosa si sia realmente perso, quasi mettendo in dubbio tutto quello che ha affermato nei versi precedenti, o forse ritrovando per un momento lo slancio che aveva quando era bambino, per dire a sé stesso che, in fondo in fondo, crede di essersi perso dentro qualcosa che in realtà non conosce bene nemmeno lui.
L’autore si chiede a questo punto se c’è ancora tempo, se è ancora possibile tornare ad avere le qualità che possedeva quando aveva dieci anni: queste domande restano sospese e non trovano apparentemente una risposta, quasi che il nostro Anton invocasse l’aiuto di qualcuno, in grado di dargli le risposte che cerca con insistenza.
Riparte quindi la rievocazione della magia dell’infanzia: il cantautore dice che quando aveva dieci anni era anche molto più forte, non aveva bisogno di chiedere aiuto, perché sapeva già come fare a risolvere i problemi che gli si presentavano, con la forza della spontaneità e dell’innocenza. Ciò che lo teneva occupato e assorbiva completamente la sua mente erano i fumetti manga, che lui divorava, chiuso dentro la propria stanza: nemmeno la pubblicità, elemento che solitamente attrae i bambini alla televisione, perché gli consente di immaginare dei mondi fantastici in cui non esistono i problemi e le difficoltà, riusciva a toglierlo da questa fortissima dipendenza, che arrivava quasi ad intossicarlo, ma che in fondo in fondo gli faceva bene.
I versi di quelle che sembrano essere le strofe si chiudono sempre con un velo di speranza, perché, anche questa volta, il nostro artista dice che, aldilà di tutto, esistono ancora delle persone che lo possono aiutare, che credono in lui e nei sogni.
Ma poi si ritorna nella passività e nel pessimismo del ritornello, che, come già detto in precedenza, sembra non lasciare molte speranze, dato che Anton ripete di essersi perso dentro la propria mente, di essersi perso nelle proprie illusorie illusioni, non sapendo bene nemmeno lui se tutto questo ha un fondo di verità oppure no, e chiedendosi in cosa si sia realmente perso e se ha ancora tempo per rimediare a questa situazione, trovando risposte certe e sicure.
A questo punto, arriviamo alla parte che all’inizio ho definito come hard rock, nella quale le chitarre si fanno ancora più pesanti e il ritmo dei versi più accelerato e soffocante: Anton si chiede per ben due volte chi gli abbia detto che lui ha sbagliato tutto. Quel che è certo è che lui non ha intenzione di fermarsi a questa stazione, come se si trovasse in una sorta di Via Crucis, perché, e questo rappresenta un forte rimando all’infanzia, tra poco inizia il suo cartone animato, che deve assolutamente vedere.
La canzone sembra vivere dell’alternanza tra momenti di completo scoramento e di notevole insicurezza, nei quali il cantautore si chiede se c’è ancora tempo per cambiare la situazione compromessa in cui si è cacciato, perdendosi dentro di sé e dentro le proprie illusioni, e momenti in cui lui stesso sembra apparentemente ripredersi, ritrovando per un momento la sicurezza e la forza che aveva quando era bambino. Sembrano però prevalere i primi momenti sui secondi, e Anton mostra tutta la propria fragilità e insicurezza: ha assolutamente bisogno di avere delle risposte, ma si chiede se ci sono ancora i margini per averle, se è rimasto tempo sufficiente per trovare quello che va cercando.
I due versi conclusivi non sembrano lasciare dubbi in merito, perché ripetono quello che è il mantra della canzone, che cioè lui era molto più grande quando aveva dieci anni di quanto lo sia ora.
Ascoltando questa canzone e i suoi versi, mi è sembrato di rivivere in qualche modo il film su Benjamin Button, il personaggio cinematografico che è nato adulto e che poi é ringiovanito fino a ritornare bambino nel corso della pellicola. Uno strano caso è anche quello di Anton, che dice appunto che quando aveva dieci anni era molto più grande e forte di quanto lo è ora.
Alla fine, ci resta un ottimo brano rock, con sfumature hard rock, che racconta le difficoltà della persona che sta dietro all’artista che l’ha scritto, il quale non ha paura di svelare le proprie debolezze, di mettere a nudo tutto il proprio bagaglio di problemi e insicurezze, quasi che la musica e le parole avessero un potere catartico, purificatore, in grado di lavare via le macchie che hanno tolto l’innocenza e la spontaneità del bambino, portando ad un adulto insicuro e pieno di domande senza risposta.
Non è assolutamente facile avere il coraggio di mostrare le proprie fragilità all’interno di una canzone, perché non si può mai sapere quale sarà la reazione del pubblico degli ascoltatori. Io credo che il fatto che Anton abbia avuto questo coraggio costituisca già un buon punto di partenza, per cominciare un cammino di ricostruzione, per ritrovare energie che non si pensava di avere, per riscoprire la forza che si possedeva quando si era bambini e per ritornare una persona pienamente consapevole di sé e delle proprie facolta e possibilità.
Attendo quindi con curiosità le prossime canzoni del nostro cantautore, per capire se questo processo, che sembra in qualche modo essere iniziato, seppur da un flebile e lieve lumicino, sarà stato portato avanti, perché il tono complessivo della canzone sembra essere piuttosto pessimista, ma, come detto, ci sono degli sprazzi in cui Anton sembra per un attimo ritrovare la fiducia.
Non tutto è perduto, insomma: anche se al momento prevalgono la malinconia e lo sconforto, i dubbi e le incertezze, non è detto che tutto questo non possa essere spazzato via, magari anche con l’aiuto delle persone giuste, in grado di far ritornare lo spirito all’infanzia.
Ci sono dei piccoli tentativi di regire, e questo secondo me non è poco: come ho avuto modo di dire, già il coraggio di esprimere tutto quello che si ha dentro in una canzone è un primo importante passo verso la redenzione, che spero avverrà presto. E’ questo il mio augurio più sincero che faccio ad Anton, il quale secondo me è un cantautore di enorme talento, che canta un genere che io personalmente amo: il rock malinconico di questa canzone potrà diventare un rock più grande e consapevole nella prossima. Chi vivrà vedrà.
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