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La recensione di oggi è molto intensa, il nostro Massimo Comi si è cimentato nell’album di Gianluca Amore, descrivendoci dal suo punto di vista canzone dopo canzone. Soffermandosi sulla musica e sulla vocalità dell’artista. Potete ascoltare questo lavoro su tutti i Digital Store. Sostenete la bella musica.

 

Gianluca Amore ci presenta un album molto ricco, sia di musica che di suggestioni, attraverso il quale mostra la sua predilezione per il buon cantato, con una voce che sa esprimere una vasta gamma di emozioni e stati d’animo, con piano e forti che si alternano sapientemente nella costruzione di ogni brano.

La vita ci insegna che, per mettere le cose in ordine, è prima necessario creare disordine, ed è appunto quello che fa il nostro cantautore, mostrando tutte le proprie fragilità e debolezze, rivelando un mondo fatto di insicurezza e incertezza, che solo con il balsamo dell’amore e della musica può essere reso di nuovo ordinato e fermo nelle proprie certezze.

Abbiamo quindi un disco in cui sono molto presenti il tema dell’amore, della vita quotidiana, della fragilità e della ricerca di un equilibrio interiore all’interno del caos sentimentale che si è venuto a creare e che deve essere rimesso in ordine.

La canzone d’apertura “I Wanna Sing Forever”, mostra slanci di musica apertamente anni ’80, con una base musicale che richiama apertamente il sound di quel decennio e sulle quale si va ad installare la potente e imperiosa vocalità di Gianluca, che sembra appellarsi alla musica per trovare una sorta di redenzione, di ancora di salvezza, nel mare agitato del suo essere interiore: le canzoni e il fatto di cantarle nella miglior maniera possibile sembrano essere l’unico antidoto ad una vita che somiglia ad un puzzle, i cui pezzi vanno rimessi nella loro esatta posizione.

In questo brano, come detto, mi è parso di sentire echi di alcuni artisti che hanno fatto la storia degli anni ’80, quali ad esempio Madonna, Whitney Houston e i Tears For Fears, all’interno di un’atmosfera complessiva che richiama senza troppo girarci intorno quella del synth-pop d’autore che ha caratterizzato quel decennio.

Mi hanno colpito la forza e la determinazione con cui il nostro artista canta il ritornello, una forza e una determinazione che in alcuni tratti rasentano la sofferenza e lo struggimento: si sente che Gianluca si trova nel bel mezzo di una lotta interiore fra caos ed esigenza di mettere ordine nelle cose, e questa lotta viene esternata attraverso tutta la capacità interpretativa di cui il nostro cantautore è dotato.

Mi è piaciuta inoltre la conclusione della canzone, con una linea melodica di pianoforte a fare da sottofondo ad una voce che si libra nell’aria in modo cristallino, delicato e sensibile, creando un senso di sospensione e di indeterminatezza, insieme ad un rallentamento del ritmo complessivo, che durante lo svolgimento della canzone era stato piuttosto sostenuto, proprio perché il nostro autore sentiva l’esigenza di esternare il suo essere interiore con la maggior incisività possibile.

La seconda canzone, “Senza Ragione”, appare nella sua linea melodica ancora più “sintetica”, non nel senso di breve e concisa ma per il fatto che l’elettronica sembra farla da padrone, con un incipit che assomiglia a quello del ticchettio di un orologio e che poi si apre come un ventaglio verso sonorità di più largo respiro.

La voce di Gianluca, in questo brano, mi ricorda molto da vicino quella di Alex Baroni, un grande interprete della musica italiana, che ci ha lasciati prematuramente: il timbro e l’estensione vocale sembrano essere proprio assimilabili a quelle del grande cantautore nostrano.

Mi sono sembrati molto interessanti poi gli arrichimenti fatti dal nostro autore, che ha pensato bene di implementare la propria vocalità sia con una voce di supporto che canta con lui come in un duetto sincrono, sia attraverso un coro, che fa da contraltare a ciò che lui canta e rende in alcuni tratti la canzone quasi un gospel, con un tema che si sviluppa in un rapporto di domanda e risposta fra Gianluca e il coro stesso.

Il brano sembra parlare di un rapporto amoroso contrastato e difficile, che mette del disordine all’interno della vita del protagonista, che non riesce ad individuare la ragione che sta alla base di questo caos emozionale: abbiamo un racconto molto dettagliato della propria interiorità e del subbuglio che si trova in essa, che pare determinare un certo distacco tra le due persone coinvolte nel rapporto stesso.

Abbiamo una canzone che passa dall’essere semplicemente pop al diventare in alcuni punti soul e come detto gospel, con un beat di sottofondo che si dimostra essere molto vario, passando con disinvoltura dalla facilità di fruizione a sonorità di più complessa fattura, che si aprono verso l’esterno e creano un senso di avvolgente copertura di tutto ciò che vanno a toccare.

Si passa poi al terzo brano “Masochist”, che, già dal titolo, fa intuire in qualche modo quale sarà la sua tematica principale, quella cioè che si va ad esprimere in una sofferenza e in una malinconia di fondo che alla fine Gianluca arriva quasi ad amare, a prediligere. Si dipinge appunto come un masochista, una persona a cui piace soffrire, e tutto questo non fa altro che legarsi a quello che è stato detto sopra, che si espleta ed esplicita ancora di più in questa canzone, dove il caos interiore sembra prevalere su tutto, arrivando a portare il nostro cantautore ad amare paradossalmente la sofferenza e il dolore.

La base musicale è anche qui molto varia: in questo caso, si potrebbe parlare facilmente di R’n’B, con un ritmo e una melodia piuttosto coivolgenti, che dipingono un affresco di musica ballabile e corale, grazie ancora una volta alla presenza di un coro di sottofondo.

Mi è parso poi di sentire alcuni inserti di chitarra elettrica, che forniscono al brano leggere tinte rock che vanno ad arricchire ancora di più il quadro sonoro.

Se devo poi parlare di un artista che mi è stato portato alla mente da questa canzone posso dire di aver sentito un non so che di Paolo Nutini, cantautore dalla grande voce, che ha dimostrato di sapersi destraggiare in molteplici generi di musica attaverso la grande varietà e le grandi potenzialità del suo cantato.

Anche Gianluca Amore si sa difendere egregiamente in questo campo, mostrando una capacità di modulare la propria voce a seconda del momento della canzone che deve interpretare, raccontando una storia e sfogando tutta la propria frustrazione con dei vocalizzi potenti e stentorei, che sono in grado di esprimere un totale struggimento e una tristezza di fondo.

Il ritmo complessivo del brano risulta essere anche in questo caso piuttosto sostenuto, e non potrebbe essere altrimenti, vista la vocalità che su di esso si va ad innestare, una vocalità che sa accompagnare e coccolare, ma che poi alla fin fine racconta una storia di sofferenza, diventando quindi quasi disperata, perché non si intravvede una via d’uscita da una situazione paradossale come l’amore per la sofferenza.

Arriviamo così alla quarta canzone, “Cold And Red”, una ballata romantica, sulle note di una tastiera passata per il sintetizzatore, nella quale la voce di Gianluca si fa raffinata, setosa, avvolgente e carezzevole.

In alcuni punti, riflettendo su quando ascoltato, mi è sembrato di sentire il George Michael di “Careless Wisper”, una delle canzoni d’amore più famose e apprezzate della storia della musica: la vocalità del nostro cantautore riesce ad evocare in alcune tratteggiature una sensibilità fuori dal comune, una capacità di ammaliare a di lasciare interdetto l’ascoltatore, che si ritrova davanti ad un sensibile rallentamento del ritmo e ad una voce che entra perfettamente nel mood della ballata, cullando e accarezzando.

Interessante è il titolo del brano, che sembra rappresentare un ossimoro, dato che il freddo viene accostato al colore rosso, che identifica la passione e l’amore: come può una passione essere fredda?

Nel mondo di Gianluca può accadere anche questo: l’ambientazione sembra essere quella di una camera da letto, in cui l’epicentro di tutto è proprio il letto stesso, in cui i due amanti si trovano. Il nostro protagonista si trova nella condizione di dover rubare, strappare qualche bacio alla propria lei, che sembra dimostrarsi fredda, pur essendo sdraiata in un letto che evoca tinte di colore rosso, perché è il simbolo della passione: esiste quindi un contrasto, ben espresso, tra il freddo distacco della persona amata e il rosso della passione di cui è imperniato il letto, definito tale forse perché nel passato non c’era un freddo distacco ma una sincera partecipazione.

Anche qui, verso il finale della canzone, abbiamo un’esplosione gospel, con una vocalità che assume potenza, in uno slancio altamente emotivo ed emozionante, sempre accompagnato dal coro, che fa da efficace sottofondo a questo scoppio improvviso di emotività, quasi che lo struggimento interiore del nostro protagonista facesse fatica ad essere contenuto all’interno di una ballata e avesse la necessità di venire liberato nell’aria, quasi sollevando da terra il nostro Gianluca e librandolo verso il cielo azzurro, verso altezze impensabili all’inizio del brano, delle altezze che lui ha dimostrato di poter raggiungere perché la sua vocalità è anche potente e vigorosa.

Questa estensione del registro vocale mi riporta ancora una volta ad Alex Baroni, la cui vocalità assomigliava molto in alcuni slanci a quella del nostro cantautore, ed era in grado di esprimere passionalità e struggimento allo stesso tempo.

La quinta composizione del disco si intitola “Uno due tre”, ed è pervasa da un’atmosfera che gli Americani definirebbero “smooth and jazzy”, dominata dal suono di un pianoforte che si rivela essere estremamente sexy e rilassante, con un beat di sottofondo molto rallentato e sincopato.

La canzone è la rappresentazione di un conflitto interiore, tra il non lasciarsi più abbindolare dalle lusinghe di un amore che fa soffrire e la rinnovata voglia di amare: questa tensione anima l’intero testo del brano, con il nostro Gianluca che vorrebbe partire e andarsene nel tempo che ci vuole per contare tre secondi, ma che poi sembra cedere alla forza della passione.

Il pianoforte è uno strumento perfetto per sottolineare il campo d’azione di questa ballata, e ne delimita i confini e lo svolgimento, attraverso accordi a cui succedono singole note: la voce del nostro cantautore è altrettanto perfetta per disegnare l’atmosfera giusta, perché sa essere molte cose insieme, dolcezza, rilassatezza, sensualità e sinuosità.

Con i suoi vocalizzi Gianluca ci offre una variopinta tavolozza di emozioni, e ancora una volta riesce a raccontare una storia in musica, che parla dei contrasti interiori insiti nell’animo di un amante che non sa apparentemente decidere se concedersi o meno ad una donna che in passato lo ha fatto soffrire.

Alla fine, come detto, sembra prevalere l’attrazione per questa passione, che nel giro di tre secondi può diventare di nuovo realtà: interessante è il modo in cui il nostro autore esprime tutto ciò con il cantato, utilizzando anche parole pronunciate trascinandole a lungo per poter modulare la tonalità mentre le canta, un po’ come fa ad esempio una cantante come Giorgia, famosa appunto per la sua capacità di modulare la voce e di passare di nota in nota all’interno di uno stesso verso o addirittura nel pronunciare una singola parola.

Ascoltando questa composizione, non si può non restare affascinati dal modo in cui viene creata l’atmosfera d’insieme, che è allo stesso tempo estremamente romantica ed estremamente poetica ed evocativa.

Bello è poi il modo in cui, alla fine del brano, si crea uno stacco, con la voce e la melodia del pianoforte che si stoppano, lasciando al beat di sottofondo il compito di concludere il discorso.

Abbiamo poi un omaggio al grande Prince, con un medley tra due delle sue canzoni più famose, “Nothing Compares To You” e “Purple Rain”: in questo omaggio risalta ancora una volta l’elasticità della voce di Gianluca, che all’inizio, mentre canta la strofa, appare in tutto il suo svavillante velluto, in tutta la sua attraente sensualità, in tutta la sua soffice morbidezza, per poi esplodere con forza nel ritornello, con un’interpretazione che non sfigura davanti a quella maestosa che ne ha dato la cantante irlandese Sinead O’Connor.

Interessante è il modo in cui vengono mescolate le due canzoni: si parte con la prima e poi senza accorgersi di arriva al ritornello di “Purple Rain”, che viene fuso con la melodia che lo precede, poi Gianluca torna a cantare il primo brano, mentre il coro lo accompagna ancora con il ritornello di “Purple Rain”.

Si capisce che sono entrambe canzoni di Prince, perché possono essere fuse e amalgamate con semplicità e si può passare agevolmente dall’una all’altra senza che ci sia la necessità di stravolgere la tonalità o di cambiare il timbro di voce.

Non nego che mi sia venuta un po’ di pelle d’oca ad ascoltare “Nothing Compares To You” fatta da Gianluca, che è riuscito ad immergersi completamente nell’atmosfera della canzone, interpretandola con il giusto sentire e il giusto sentimento e rendendola qualcosa di speciale, grazie alle sue spiccate doti vocali, che riescono a passare agevolmente da un registro ad un altro.

Credo che Prince sarebbe stato contento di ascoltare questo omaggio che gli è stato fatto, perché si nota da subito che le intenzioni sono buone e che portano ad un risultato molto edificante: giusta si è rivelata l’idea di mettere quasi solamente le note di un pianoforte come sottofondo musicale, per lasciare alla voce tutto lo spazio che meritava.

Apparentemente, sembra di sentire anche qualche accordo di chitarra elettrica, a punteggiare l’esecuzione del ritornello della prima canzone, cosa che rende l’atmosfera ancora più potente nella sua magnificenza: Gianluca è veramente un talento quando si tratta di interpretare una canzone, di fornire una propria credibile versione di un brano.

Eccoci alla canzone successiva, “Riamarmi In Un Secondo”, che si apre con atmosfere rarefatte, dense di pathos e aspettativa, quasi che si trattasse in qualche modo dell’intro di una canzone dei Radiohead: il brano è un duetto fra il nostro Gianluca e Milo Nanni, che si alternano nel canto delle strofe e che cantano simultaneamente quello che sembra essere il ritornello.

Quella raccontata dai due sembra una storia di vita quotidiana, in cui si parla anche dell’amore che si prova per l’altra persona, che sembra essere divenuta il tutto per il protagonista, tanto che lei sembra in grado di riappropriarsi in tempo brevissimo dell’amore che prova per il suo lui e disporne del suo destino come vuole.

Il beat di accompagnamento è essenziale, minimale, e dà in questo modo ampio spazio al dipanarsi del rapporto canoro tra le due voci, che hanno la possibilità di esprimersi ciascuno nel modo più completo e congegnale possibile.

Dal testo sembra trasparire una sorta di arrendevolezza del protagonista del brano, che si affida completamente alla sua lei, dicendo appunto che può decidere nel giro di un secondo se tornare o meno ad amarlo.

Si tratta di un brano con venature tipicamente pop, con un andamento sostanzialmente lineare e piano, senza troppi scossoni, a parte quelli che arrivano quando viene cantato il ritornello, il quale viene comunque eseguito sulle medesime lunghezze d’onda delle strofe.

Si tratta forse del brano più “comune” del disco, se così si puo dire, perché non mostra in sé alla fine delle particolari variazioni di tonalità, timbro e ritmo: l’emozione nell’ascoltarlo è comunque ancora presente, perché Gianluca ci ha comunque abituati bene in questo album, e riesce sempre ad estrapolare qualcosa di significativo e speciale anche dai pezzi che sembrano essere i più “normali”.

Bella l’idea del duetto: questa volta non è presente il coro ad accompagnare i versi più importanti della canzone, ma esiste comunque un dialogo tra due voci che stanno bene insieme e si uniscono in un canto corale quando ne avvertono la necessità.

Ed eccoci quindi alla canzone successiva, “Free Me”, la più lunga dell’album, con i suoi quasi sei minuti di durata: siamo di fronte ad una grande esibizione di coralità e di vocalità, con un dialogo fra cantante solista e coro perfettamente riuscito, con solamente l’accompagnamento di un pianoforte a fare da sottofondo.

Come atmosfera generale, il brano mi ha portato alla mente le canzoni gospel di Aretha Franklin e i brani di più ampio respiro dei Queen, come ad esempio la splendida “Save Me”: si tratta di un’invocazione ripetuta alla donna amata, a cui il nostro cantautore chiede di fare qualcosa per salvarlo, per renderlo libero e per guarire le sue ferite.

La canzone ha una connotazione aperta, uno stile canoro come detto corale, fatto da un dialogo riuscitissimo fra cantante solista e coro: pur essendo piuttosto lunga, non annoia mai, per l’intensità dell’interpretazione dei suoi vari protagonisti e per la riuscita combinazione delle varie voci presenti, che si alternano, si sovrappongono, si mescolano e interagiscono spendidamente.

Siamo in presenza di un brano che travalica i confini del semplice pop, per arrivare ad una misticità tipicamente gospel e ad una caratterizzazione anche soul, alla maniera di Ray Charles, che si può dire sia stato l’inventore dell’interazione “domanda e risposta” fra solista e coro.

Ascoltando la canzone mi è venuta in mente un’altra grande interprete di musica, per così dire, “corale”, cioè Carole King, che con l’album “Tapestry” ha creato qualcosa di speciale, una musica che non poteva essere catalogata all’interno di confini precisi o di generi preordinati, e che era allo stesso tempo pop, soul e gospel.

A dispetto della lunghezza, la canzone ha una costruzione e una strutturazione abbastanza semplici, lineari, con giochi di interscambio fra solista e coro, che arrivano a cantare anche insieme, creando un’atmosfera molto coivolgente e dalla grande attrattiva.

Il penultimo e nono brano è quello con il titolo più curioso, almeno per il modo in cui viene scritto: “You (Don_t Know)”.

Si tratta di una canzone che cambia spesso stile e stilemi durante il suo svolgimento, nella quale Gianluca fa un elenco di tutte le cose che la sua lei crede di sapere, sentendosi in qualche modo legato, intrappolato all’interno della ragnatela creata da tutte queste conoscenze.

Si parte con un registro piuttosto lineare, con un sottofondo di tastiere passate al sintetizzatore, che si trasforma poi in una successione di suoni dotati di grande eco e riverbero, che vanno a concludere lo sviluppo della strofa.

A questo punto, esplode il ritornello, con la batteria che prende piede e che accompagna un cantato che si fa via via più espressivo e potente, con la presenza di alcune note di sottofondo, che sembrano provenire da una tastiera o da una chitarra.

La parte del ritornello è piuttosto convolgente, perché invita a battere le mani a tempo di musica e a cantare a squarciagola le parole della canzone.

C’è poi un piccolo intermezzo, il quale fa da collegamento con la sua linearità tra un ritornello e l’altro: questa volta, però, il ritornello è piuttosto lungo, perché comincia una nuova interazione fra Gianluca e il coro, in un gioco di ripetizioni e di rimandi, nel quale si afferma e ribadisce che la sua lei in realtà non sa, anche se crede di sapere.

Si potrebbe dire, giocando anche noi un po’ con le parole, che lei “non sa di non sapere”: oltre a questo rimando continuo, costruito sul verbo “sapere” in inglese, esiste nella canzone una sapiente alternanza fra le parti, fra sezioni dal beat più ovattato e riverberato e sezioni in cui esso esce allo scoperto, esprimendosi attraverso il suono della batteria e quello delle tastiere, che si fanno progressivamente più pronunciati.

Anche questa canzone, quindi, si fa notare per la sua architettura interna molto ben costruita, in un gioco fra strofe e ritornelli, fra l’espressione del sapere e quella del non sapere, che diventa un gioco di rimandi reciproci, il quale rende speciale la canzone, che non ha nulla di lineare nel suo svolgimento, ma che si fa notare per la sua varietà interna e per i suoi articolati schemi di sviluppo.

Ed eccoci arrivati all’ultima canzone, la title track dell’album, che ha un incedere favolistico, quasi da nenia, perché con essa Gianluca sembra raccontarci la favola della sua vita, accompagnato solamente da poche e asciutte note di pianoforte.

In tutto il suo racconto, ci dice, c’è comunque e sempre spazio per l’amore, che per lui significa solo e unicamente cantare, cioè la cosa che sa fare meglio di tutte: cantare è il suo destino, e lui vuole farlo per sempre, perché è il suo modo per sopravvivere al disordine della sua anima e per comunicare amore.

Se mi capitasse di intervistarlo, la prima domanda che gli farei sarebbe a proposito della portata dell’influenza che ha avuto su di lui il modo di cantare e di esprimersi con la voce di Alex Baroni, artista che ho citato più volte, perché più volte lui me l’ha ricordato: mi è sembrata straordinaria, in certi passaggi, la somiglianza fra il suo timbro e il suo registro di voce con quello di Alex, e non so se è una cosa voluta o qualcosa di casuale.

Gianluca ci dice, che nonostante abbia trent’anni, si comporta ancora come quando era un quindicenne, con tanto disordine nella propria vita, ma con altrettanta voglia di cantare, per esprimere tutta la sua capacità di amare e trasmettere amore attraverso la cosa che sa fare meglio.

La cosa che più mi ha colpito è comunque il fatto che la canzone sembra cantata da due artisti diversi, perché il timbro e il tono sembrano molto differenti tra quelle che paiono essere le strofe e quelli che paiono essere i ritornelli: nelle prime, la vocalità è piuttosto sommessa, quieta, compassata e lineare, mentre nei secondi sembra esplodere con potenza e vitalità incredibili, mutando completamente registro e divenendo a tutti gli effetti un altro cantare, anche se si tratta della medesima persona.

Alla fine, Gianluca sembra aver trovato un modo per rimettere ordine all’interno del caos della propria esistenza: la soluzione non è altro che quella di cantare, perché, come detto, è la cosa che sa fare meglio e che gli permette di esprimere compiutamente quello che sente dentro, esternando così le sue ansie, le sue fragilità e le sue debolezze, ed esprimendo il più bel sentimento del mondo, cioè l’amore.

Alla fine, ci resta un disco non catalogabile in un solo e determinato genere musicale, perché va a toccare sia il pop, che il soul, sia l’R’n’B che il gospel e il jazz: ciò che impressiona maggiormente sono le capacità vocali di Gianluca, che riesce a modulare facilmente la propria voce in base a ciò che deve cantare e a cambiare in questo modo tonalità, timbro e registro, tanto che a volte sembra di sentire due cantanti diversi all’interno della stessa canzone.

L’album mi è piaciuto molto, proprio perché è molto vario e va a toccare vari stilemi e stili musicali, e perché è cantato in modo splendido, da una voce bellissima ed enormemente espressiva.

Gianluca secondo me è un bravissimo cantante, e deve proseguire su questa strada, cercando possibilmente di progredire ancora di più, perché i veri professionisti non si devono accontentare mai dei risultati raggiunti, ma devono alzare sempre di una tacca l’asticella.

Il disco è inoltre ben prodotto, perché i suoni di contorno sono nitidi, puliti e cristallini: il fatto che poi siano stati introdotti dei duetti e degli interventi di un coro al suo interno non fa che renderlo maggiormente intrigante e interessante.

Con il coro, le canzoni raggiungono uno status più elevato, molto corale (e non potrebbe essere altrimenti), oltrechè molto armonico nel suo insieme: indimenticabili sono a questo proposito i suoi fraseggi con il nostro cantautore, i suoi colloqui con lui, basati sullo schema “domanda e risposta”.

Il nostro artista merita quindi molti complimenti, sia per come canta le varie canzoni, passando agevolmente dai brani più ritmati alle ballate, sia per come ha stratturato internamente i pezzi stessi, introducendo altre voci oltre alla sua e cercando di variare molto, in modo da non risultare noioso, ma, al contrario, sempre più interessante e stuzzicante.

Alla fine, dieci canzoni non sono poche per un album, e quindi si rischia di risultare alla fine, come detto, stancanti e ripetitivi, cosa che non succede mai in questa opera discografica di Gianluca, che fa come detto della varietà in tutti i sensi la sua cifra stilistica.

Sono quindi curioso di ascoltare le sue prossime produzioni, per vedere se manterrà lo stesso livello qualitativo di questa che mi sono trovato a recensire.

L’unica cosa che posso fare io è quella di augurargli buona fortuna nel suo percorso canoro, e di diventare presto uno dei cantanti di riferimento della scena musicale italiana attuale, che ha veramente bisogno di basi solide sulle quali appoggiarsi.

Le capacità ci sono in abbondanza, secondo me, e credo anche che Gianluca lavori duramente ogni giorno per migliorare sempre di più e per sviluppare il proprio talento.

Speriamo davvero di sentire parlare di lui sempre più spesso nei prossimi anni, perché sarà la dimostrazione che avrà raggiunto uno status importante all’interno del panorama musicale nostrano.

Caro Gianluca, continua quindi così.

 


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