Nuova recensione scritta da Massimo Comi per il brano di Kallísto “Morto di Gnagna”, un pezzo esilerante, ironico ma altrettanto profondo che ci porta a riflettere sulla società di oggi. Massimo lo racconta e lo analizza dandone, come sempre, una sua interpretazione personale. Sostenere la musica è importante, anzi è fondamentale, quindi vi invitiamo a condividere i nostri articoli e tutto ciò che riguarda gli artisti. Trovate la musica di Kallísto su tutte le piattaforme digitali e nelle nostre playlist Spotify.
Kallísto torna con un pezzo velenoso, satirico, sprezzante, tirato a cento all’ora, che può essere considerato da tutte le donne perseguitate da uomini incapaci di riflettere su quello che stanno realmente facendo come un vero e proprio inno di ribellione e rivalsa.
La nostra cantautrice, con il suo flow rapidissimo e graffiante, delinea un ritratto di uomo non proprio gratificante per la categoria maschile, anzi, tutto il contrario, andando a descrivere dei comportamenti e dei modi di essere che sono propri di chi può essere davvero considerato come un “cultore dell’organo riproduttivo femminile”, anche se, a questa affermazione, i veri cultori si potrebbero offendere.
Del resto, siamo nell’era delle pari opportunità tra uomo e donna, e la nostra Kallísto si è sentita autorizzata e in dovere di scrivere una canzone che in qualche modo prendesse per i fondelli una parte dell’universo maschile, quella che appena vede una donna non capisce più nulla, smette di ragionare, o almeno comincia a ragionare con il proprio organo genitale.
Il ritmo alla base della canzone è piuttosto vivace, accelerato, sparato su frequenze molto elevate, con un beat incalzante che si adatta perfettamente alla velocità e alla rapidità con cui la nostra cantautrice sputa le sue sentenze.
Sono convinto che questo brano verrà molto apprezzato dall’universo femminile, soprattutto da quella sua parte che sui social network viene ostinatamente perseguitata da maschi infervorati, che non desiderano amicizia e conversazione, ma solo sesso facile e senza complicazioni.
Non è un caso che, appena su Facebook e Instagram appare una foto un po’ più spinta di una donna, ci sono subito frotte di uomini che commentano sconciamente e fanno inviti sconsiderati, senza nemmeno conoscere la persona in questione, ma considerando il suo corpo come oggetto di culto e di smaniosa attenzione, e puntando a mettere a segno un colpo, che possa rappresentare una nuova tacca sul proprio legno delle conquiste, che, visto l’atteggiamento con cui si pongono, sarà secondo me ben povero di colpi messi a segno.
Già la copertina del singolo è piuttosto rappresentativa, con l’immagine di un uomo grasso, panciuto e spettinato in canottiera, che tiene sulla propria mano, come se fosse un trofeo, una metà di un frutto che assomiglia molto all’organo genitale femminile, venerandolo con un’espressione da divinazione immediata e da intenso desiderio.
La canzone si avvia con una rapida successione di accordi di chitarra elettrica, che vanno a ripetersi in una sorta di loop e che vengono accompagnati da un beat di batteria che resta in un certo qual modo sottotraccia, per poi dipanarsi in maniera più estesa non appena Kallísto comincia a cantare.
L’intro dura solo lo spazio di pochi secondi, poi la nostra autrice comincia a cantare, o meglio a rappare, perché è evidente il fatto che si tratti di un brano prettamente rap, in cui il flow si dimostra da subito efficace, stringente e dritto al punto: l’inizio è subito in qualche modo canzonatorio, perché già dai primi versi appare il senso d’ironia di cui la nostra cantautrice vuole nutrire il pezzo.
Kallísto fa il conto dell’ingente numero di mani, di orecchie e di occhi posseduto dal soggetto maschile oggetto della sua derisione e protagonista involontario della canzone: sembra che lui riesca a moltiplicare il numero di alcune delle proprie parti del corpo, quando si tratta di approcciarsi al genere femminile, come un polipo che si avventa con i suoi numerosi tentacoli sulla propria preda. Ha tante orecchie per sentire, tanti occhi per vedere e tante mani per toccare: inoltre, i tanti fondoschiena femminili che vede in strada non gli bastano mai; si alza al mattino magicamente già lampadato, e si gusta l’hangover del giorno appena trascorso.
Tutti questi elementi mi fanno venire in mente i tipici uomini che credono di essere il nuovo Tony Manero, ma che invece ne sono solo la brutta imitazione, con la pelle sempre abbronzata, le serate passate sempre a fare le ore piccole e la catenazza d’oro indossata sul collo, con la canottiera bianca per far risaltare l’abbronzatura, canottiera che invece li fa sembrare come dei muratori a corto di donne, che fischiano ogni volta che ne vedono una in strada.
A questo punto, Kallísto pone un interrogativo improvviso, chiedendo al malcapitato lui se si sia rimesso a posto gli occhi, forse perché li ha utilizzati talmente tanto la sera prima, che necessitano, come dire, di una “revisione”, oppure perché gli sono caduti dentro una scollatura e li deve ritrovare per rimetterli dove dovrebbero naturalmente stare.
Devo ammettere che questa immagine evocata dalla domanda mi ha fatto piuttosto ridere e mi è sembrata davvero azzeccata per il contesto in cui si inserisce il brano: se il nostro protagonista ha vent’anni, le sue preferenze cadono sulle donne sposate e mature, mentre se ne ha cinquanta gli piacciono le ragazzine giovani, in un gioco di contrasti che delinea la realtà così per come si mostra agli occhi di tutte le donne attente ai particolari.
L’uomo a cui Kallísto rivolge le proprie attenzioni, il suo “nennè”, viene poi da lei invitato a ripetere appunto con lei che, come dice sempre il grande rocker Pino Scotto quando parla della musica moderna, c’è “qualquadra che non cosa”, una storpiatura tipicamente dialettale dell’affermazione “c’è qualcosa che non quadra”: questa affermazione si inserisce molto bene nel contesto della canzone, perché è vero che le cose non quadrano, visto quanto affermato in precedenza.
La nostra cantautrice assume poi un tono aggressivo e strafottente, accusando il protagonista del brano di millantare di avere milioni di donne, ma di non riuscire ad avere un’erezione senza usare il viagra, con la piccola belva che riposa, altra immagine molto irridente e canzonatoria.
Si tratta di un continuo “blabla” che non porta da nessuna parte, e come un tram che va ci vorrebbe una tranva dritta dritta sul muso, in un gioco di parole interessante e tipicamente rap, con il ritmo che accelera per un attimo, con un flow più pungente e affilato.
Viene poi disvelata un’altra contraddizione del nostro protagonista, che pubblicamente dice no ai gay, ma poi va con i trans, e viene chiamato “affettuosamente” pà: chi lo guarda sa comunque che, lo sa che, e qui si installa un piccolo momento di sospensione, con il beat di batteria che si fa frenetico, per creare un senso di attesa e di pathos, lui è “un morto di gnagna”, un grande appassionato, per così dire, dell’organo genitale femminile.
Questa definizione viene ripetuta due volte, la seconda quasi rabbiosamente, e questa ripetizione apre la melodia ad uno sviluppo più ampio, con una linea sonora che si fa più corposa e sostanziosa, avvolgente e ben presente.
Addirittura, abbiamo un piccolo assolo di quello che sembra essere un sassofono, che mi ha riportato nell’atmosfera della moderna commedia all’italiana, con i suoi attori finti sciupafemmine, con il chiodo fisso della donna da deflorare.
Durante questa linea melodica, viene ripetuta e trascinata, quasi come una eco, la parola “Gnagna”, che è il termine gergale attorno al quale si concentra tutto il brano.
Abbiamo poi una combinazione di batteria che serve da momento preparatorio alla prosecuzione della narrazione: Kallísto dice di non comprendere il tipo di donna che lui ha vicino, definendola “carismatica come un tavolino”; la nostra cantautrice non si risparmia e ci va giù pesante, ma questa è secondo me una modalità veritiera di descrivere la situazione, perché me ne sono accorto anch’io sulla mia pelle, osservando ciò che viene scritto sui social network, come detto in precedenza.
La donna del nostro protagonista ha alla fine rinunciato anche all’amore che poteva ricevere da lui, così come all’indipendenza, non provando il piacere che dà la disobbedienza: in conclusione, mi sembra che la nostra cantautrice voglia mostrare un quadro un po’ desolante, con una donna che non ha nemmeno saputo mostrarsi per una sola volta disobbediente, per riuscire a mantenersi vicino un uomo con il suo lavoro fisso, anche se poco intelligente e fissato con il sesso.
Il flow si fa veramente cattivo e prorompente in questa parte di canzone, con una rapidità che farebbe venire lampi d’invidia a molti rapper nostrani, che non possono vedere una donna che fa rap meglio di loro, maschi alfa.
La donna diviene adesso la protagonista della canzone, ed è a lei che si rivolge Kallísto, chiedendole perché non capovolge il cesto di corna che ha raccolto con i tradimenti del suo lui proprio su lui stesso, per un senso di rivalsa e di indipendenza: l’uomo in questione viene definito attraverso aggettivi non proprio edificanti, declamati con rabbia e astio; viene definito “rattuso”, “viscido” e “bavoso”, e tutto ciò si ricollega ai suoi vizi e alla sua passione per le donne, che lo portano ad essere infedele e poco affidabile.
Lui è un “pezzente”, e delle qualità di un uomo con la U maiuscola non ne possiede nessuna: anzi, se le donne non accettano di fare sesso sono definite come delle ladre, e se una di loro gli fa due versetti, due moine, lui è disposto anche a regalarle sua madre; basta quindi davvero poco per eccitare una persona di così infimo livello.
Lui dovrebbe riflettere su un semplice fatto, dovrebbe pensare a come reagirebbe se con il suo stesso sguardo lascivo gli altri uomini guardassero sua figlia: Kallísto lo chiama Johnny, dicendogli “bello, non pensare che sia un’eresia quello che sto dicendo”, perché pure la figlia ha la “gnagna”, possiede l’organo genitale femminile, e quindi non è mai al sicuro, se al mondo esistono degli uomini come suo padre.
La linea melodica ritorna poi ad essere più completa e complessa, dopo la sola presenza del rapido battito di batteria, con un’articolazione del suono che si ispessisce e si irrobustisce, e delle note di quelle che sembrano essere delle tastiere passate al sintetizzatore a fare da guida e da sostegno alla batteria stessa.
Kallísto ricorda al proprio protagonista, ancora una volta, che lui è un “morto di gnagna”: qui riparte l’assolo di sassofono, che mi ha riportato di nuovo alle atmosfere della moderna commedia all’italiana; su di esso si istalla la voce della nostra cantautrice che sussurra e trascina la parola “gnagna”, quasi a ribadire il concetto.
La canzone termina con uno stacco netto, con la linea melodica che si interrompe bruscamente, con un’espressione verbale di cui non si capisce bene il significato, espressione che sembra quasi di origine orientale, non andando quindi in dissolvenza, ma facendo segnare un punto terminale preciso, con le percussioni che esprimono i loro ultimi battiti e il suono che cessa all’improvviso.
Alla fine, dunque, ci resta un buon brano rap, in cui Kallísto rende esplicite tutte le proprie doti, con un flow che sa diventare in qualsiasi momento estremamente rapido e ficcante, estremamente penetrante e intenso.
Già leggendo il titolo del brano si può intuire di che cosa potrà parlare, perché abbiamo un chiaro riferimento all’organo genitale femminile, che si comprende anche se è nominato in forma dialettale.
Possono ritrovarsi in questa canzone le donne vessate da uomini viscidi, oppure le mogli tradite da mariti che pensano solo al sesso, che se la fanno con le ragazzine, ma anche le ragazzine stesse che hanno dei fidanzati che a loro spesso preferiscono le donne sposate mature.
Il pezzo assume quindi le caratteristiche di un inno di ribellione, di un atto di accusa a queste tipologie di uomini, di un momento di rivalsa con il quale si può finalmente assurgere al ruolo di protagonista attivo e non più di vittima: diciamo che questa canzone era il balsamo che tante donne attendevano con impazienza, le cui parole erano insite nel cuore di ciascuna di loro, ma non riuscivano ad essere comunicate liberamente.
Kallísto ha quindi tutta la mia stima per essere stata capace di denunciare un fenomeno che è sempre esistito, ma che ultimamente sta prendendo sempre più piede nella società moderna.
La ringrazio perché si è fatta portatrice di un messaggio nel quale finalmente molte donne possono identificarsi: quando hanno bisogno di conforto e consolazione, possono ascoltare la sua canzone e acquisire maggior sicurezza e determinazione; “Se l’ha fatto lei, perché non posso farlo anch’io?”: queste credo che siano le parole che regnano sulla bocca di molte donne, ora che è stato pubblicato questo brano.
Sicuramente, abbiamo ora molta più consapevolezza e molta più forza nell’universo femminile, che sta incominciando a farsi valere maggiormente all’interno delle istituzioni e che, attraverso questo brano, può acquisire altrettanto valore nelle relazioni amorose di tutti i giorni: Kallísto non le manda certo a dire, e il suo linguaggio è chiaro, netto e pulito, a volte dialettale, ma sempre immediatamente comprensibile.
Se devo essere sincero, non mi aspettavo da lei una svolta così radicale dopo il primo suo pezzo che mi sono trovato a recensire: buon per noi che questa svolta ci sia stata comunque, perché serviva ed era piuttosto necessaria.
Attendo quindi con impazienza la sua prossima canzone, per vedere se la nuova Gianna Nannini mescolata con la nuova Gabriella Ferri svolterà ancora verso direzioni di nuovo diverse: per il momento, non posso che dirle grazie e comunicarle tutto il mio più vivo apprezzamento per ciò che è riuscita a creare e ad esprimere, una vivida immagine di quanto in basso possa cadere un uomo nella propria esistenza, con comunque sempre la possibilità di redimersi e ravvedersi.
Non tutto è perduto quindi, ma il messaggio veicolato da Kallísto è chiaro e limpido, e può essere interpretato in un solo modo, con la consapevolezza di avere al proprio fianco una nuova alleata, che con il suo linguaggio da donna consapevole può proiettare verso realtà più certe, verso approdi più sicuri, verso porti senza tempesta.
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